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" COME LACRIME NELLA PIOGGIA " di SOFIA DOMINO

L'India, il paese peggiore in cui nascere Donna

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BIOGRAFIA

Sofia Domino è nata nel 1987, sin da piccola amava la scrittura e si dilettava in racconti, ora è diventata la sua principale passione. Adora leggere, sognare e viaggiare. "Come lacrime nella pioggia" è il suo secondo romanzo. Il suo romanzo d'esordio "Quando dal cielo cadevano le stelle".

PRESENTAZIONE

A ventidue Sarah Peterson è una comune ragazza di New York, appassionata di fotografia e di viaggi. A quindici anni Asha Sengupta è una giovane ragazza indiana, venduta come sposa da suo padre. D’improvviso il presente di Sarah s’intreccia con quello di Asha. L’amicizia tra due ragazze, diverse ma uguali, spiccherà il volo. Non solo Sarah si ritrova, con il suo fidanzato, a vivere per lunghi periodi in un villaggio remoto dell’India, ma scoprirà che cosa si nasconde in un paese magico e allo stesso tempo terrorizzante.

Asha farà di tutto per lottare per i suoi sogni, per avere dei diritti paritari a quelli degli uomini e per continuare a studiare, perché non vuole sposarsi così giovane, e non vuole sposare chi non ama. Sarah si schiererà dalla sua parte, ma nel suo secondo viaggio in India scoprirà che Asha è scomparsa. Liberarla dalla trappola in cui è caduta, per Sarah diventerà un’ossessione. Un romanzo che fa luce su una verità dei giorni nostri, una storia di violenze, di corruzioni, di diritti negati. Una storia sull’amicizia. Una storia in grado di aprire gli occhi sull’India, il paese peggiore in cui nascere donna.

BUONA LETTURA...

COME LACRIME NELLA PIOGGIA

CAPITOLO PRIMO

Ricordo ogni cosa dell’India. I colori. La gente. La povertà. Le ingiustizie. Lei. L’ultima promessa che le ho fatto. Ricordo l’emozione che m’invase quando assieme al mio fidanzato, Abhai Mailakar, decisi di partire. Abhai ha origini indiane e con suo padre si trasferì qui, a New York, quando aveva cinque anni. Nonostante il mio fidanzato sia familiare con la cultura americana, non ha dimenticato le sue origini.

Spesso ci sedevamo davanti a dei bicchieroni di caffè e lui mi raccontava del suo villaggio, Kailashpur, che si trova nello stato del Chhattisgarh. Allora non sapevo niente di quel villaggio, adesso conosco ogni campo, ogni capanna, ogni strada polverosa, ogni tradizione, ogni spicchio di natura, ogni legge. Ogni abitante. Grazie ad Abhai ho imparato a parlare indiano e anche il dialetto di Kailashpur. Lui mi prende ancora in giro per la mia pronuncia imperfetta, ma lo fa per farmi ridere, per tirarmi su di morale.

Ognuno ha notato quanto sono diversa da quando sono tornata dall’India. Anche i miei genitori, Wendy e Ronald Peterson, hanno notato la mia inquietudine non appena sono scesa dall’aereo. Ho sempre sentito dire che i viaggi cambiano le persone. Prima di partire per l’India ero già stata in Giamaica e anche in alcune città europee ma, al ritorno, non mi ero sentita veramente cambiata. Le esperienze erano state magnifiche, e mi ero sbizzarrita nel fotografare i più importanti monumenti o i più bei scorci naturalistici delle varie nazioni ma l’India…

C’è qualcosa di misterioso in quel paese. Si respira aria di ribellione, di voglia di vivere… ma adesso sto parlando delle maggiori città indiane, non di Kailashpur. A Kailashpur non si respira aria di libertà. Laggiù le leggi hanno un altro significato, le donne hanno un altro valore, o meglio, non lo hanno affatto. A Kailashpur tutto è diverso. Era un lunedì mattina quando Abhai ed io, portandoci appresso le nostre valigie e i nostri zaini, partimmo per l’India. Era giugno e il caldo a New York era afoso.

- Come sarà il clima in India? – domandai al mio fidanzato, controllando per la decima volta di avere tutti i documenti necessari per imbarcarmi.

- Sarà molto caldo – rispose lui, guardandomi con i suoi grandi occhi scuri – il sole sarà cocente –.  Gli sorrisi e poi allacciai le braccia al suo collo. Lui mi strinse a sé, promettendomi che ci saremmo divertiti. Nessuno dei due era scoraggiato dalla lunghezza del viaggio che ci aspettava, nonostante mia madre, invece, non riuscisse a capacitarsene.  

- Ventotto ore di viaggio? – esclamava mia madre, sgranando gli occhi azzurri, dello stesso colore dei miei – siete impazziti?.

- Mamma – replicavo io, stringendomi con leggerezza nelle spalle – l’India è lontana.  Da New York faremo scalo a Hong Kong. Da Hong Kong andremo a Mumbai, da Mumbai voleremo fino a Raipur, che è la capitale del Chhattisgarh, e da lì raggiungeremo Kailashpur –. - Sarà sicuramente un viaggio impegnativo – osservava mio padre, passandosi le mani tra i fini capelli castani – ma se è quello che volete fare…

- Voglio mostrare a Sarah il mio villaggio – spiegava dolcemente Abhai, cingendomi la vita con le braccia – voglio che lei sappia tutto di me prima del nostro matrimonio, Abhai ed io ci conosciamo da anni, ormai.   Ricordo ancora che io stavo facendo uno stage per fotografi, la prima volta in cui lo vidi.  Una mattina, il nostro insegnante portò me e gli altri partecipanti allo stage a Central Park per farci fotografare le foglie degli alberi, quando, d’improvviso, scorsi un ragazzo che vendeva dei donuts a una bancarella. Quel ragazzo era Abhai e fu amore a prima vista. I miei genitori non hanno mai avuto problemi ad accettare come genero un ragazzo indiano.

- Siete come il giorno e la notte – fu il primo commento di mio padre, quando mi vide mano nella mano con Abhai. Ho sempre pensato che fosse vero. Io sono bionda e ho gli occhi azzurri, ho la carnagione chiara che spicca contro la pelle ambrata di Abhai. Lui ha gli occhi scuri e i capelli più neri che io abbia mai visto.

- Chissà come sarà bello il mio nipotino – dice invece ogni tanto mia madre, per farmi capire che apprezza la mia decisione. Per quanto mi riguarda, non sono mai stata razzista. Ho ventidue anni e sono grande abbastanza da aver capito che l’importante è il carattere di una persona, e non il colore della sua pelle. Lo stesso vale per Abhai e la sua famiglia. Il padre di Abhai, Ijay, mi ha sempre fatto sentire la benvenuta nella sua casa.

- Sarà un piacere averti nella mia famiglia – mi disse la prima volta che ci siamo incontrati.  Quel giorno ero un fascio di nervi, ma il caldo sorriso di Ijay riuscì subito a tranquillizzarmi.   Ijay è una copia invecchiata di Abhai, solo che il signor Mailakar è molto più magro del mio fidanzato. Per Abhai non fu semplice decidere di partire per l’India a giugno. Sfortunatamente Ijay si era gravemente ammalato e il mio fidanzato, nonostante suo cugino Jaidev fosse riuscito a scrivergli una lettera facendogli sapere che era pronto ad accoglierci nel suo villaggio, non si sentiva di lasciarlo solo.

- Vai a Kailashpur – lo pregò però Ijay – così quando tornerai mi racconterai ogni cosa -.   Quelle parole convinsero Abhai a non cancellare il nostro viaggio in India.   L’imbarco sul volo con destinazione Hong Kong si svolse velocemente. L’aereo non era in ritardo e Abhai ed io ci accomodammo ai nostri posti. Io mi ritrovai vicino all’ala e, intrecciando le dita a quelle del mio fidanzato, poggiai la testa sulla sua spalla.

- Sono così emozionata… - sussurrai.  Abhai mi diede un bacio sulla testa;  - Davvero? – mi domandò, contento. - Certo –. Non sapevo perché fossi così emozionata, ma adesso credo di conoscere la risposta.  Il viaggio fino a Hong Kong fu molto tranquillo. Il cielo era sereno e non trovammo nessuna turbolenza. Il personale di bordo fu molto gentile e Abhai ed io parlammo per quasi tutto il tempo.  

- Chi incontrerò una volta arrivati a Kailashpur? – gli domandai, incuriosita. - Mio cugino Jaidev, ma anche sua moglie e i bambini – rispose Abhai, prontamente – sono persone splendide –.

- Lo immagino – replicai, poi ricominciai a fantasticare sull’India. Sono un’appassionata di fotografie e portai tutto l’occorrente con me. Adoro immortalare immagini indimenticabili. Tramonti, uccelli in volo, la prima risata di un bambino, una goccia di rugiada… andare fino a Kailashpur per me era uno stimolo. Mi sarei ritrovata in un villaggio indiano, lontano dalle grandi città. Sapevo che, in ogni angolo, avrei potuto trovare qualcosa da immortalare.

- Tornerai a casa con centinaia di fotografie – m’incoraggiava Abhai. Non appena atterrammo a Hong Kong prendemmo la coincidenza per Mumbai. Io avevo un leggero cerchio alla testa mentre Abhai era assonnato, ma niente fermò il nostro entusiasmo. Il volo fino a Mumbai passò lentamente. Alla fine, io mi appisolai e il mio fidanzato crollò dal sonno. Quando l’aereo toccò la pista, fui io a svegliare Abhai, baciandolo dolcemente sulle labbra: - È ora di andare… - sussurrai.

Abhai aprì gli occhi e sbatté le palpebre per disappannare la vista;

- Se avessi saputo che mi avresti svegliato in questo modo, avrei organizzato prima un viaggio in India – scherzò.  Riposare ci aveva fatto bene. Se come ultimo ricordo nella mia mente avevo le forti luci dell’aeroporto internazionale di Hong Kong, sapevo che, a Mumbai, avrei potuto visitare qualcosa.

- Fammi ricontrollare – disse Abhai, estraendo dalla tasca dei pantaloni un foglio sgualcito – sì… il nostro aereo per Raipur parte domani alle sette di mattina –.

- Quindi adesso possiamo andare in giro? – gli domandai, elettrizzata.  - Sì – sorrise lui – ma lo faremo dopo che avremo trovato l’hotel –.

Io non riuscivo a smettere di guardarmi intorno. Mi sembrava di respirare già odori e sapori indiani, nonostante mi trovassi ancora in aeroporto. Trovare l’hotel non fu difficile e mi meravigliai della sua modernità. - Le grandi città indiane sono molto avanzate – mi spiegò Abhai – non sono come New York, ma sicuramente delle volte dimenticherai di essere in India -. Abhai aveva ragione. Quando ci ritrovammo in strada, rimasi a bocca aperta. Potevo vedere i grattacieli che, ammucchiati all’orizzonte, rendevano quella città un qualcosa di moderno.

Scoprii che Mumbai è la città più popolosa dell’India. Un odore forte e dolciastro era sparso nell’aria, così come un caldo umido. L’atmosfera era fuligginosa, e appresi che quella foschia era prodotta dai numerosi impianti industriali nella zona settentrionale. Tutt’intorno a me schizzavano le macchine. Abhai ed io ci recammo nei punti più turistici e, nonostante fossi circondata da visitatori, ricordo che, con lo sguardo, cercai le persone indiane. A Mumbai, le donne erano vestite molto simili alle ragazze di New York, solo che qualcuna copriva i jeans con i kurta, indumenti simili a delle camicette, e altre avevano dei bindi rossi sulla fronte.   - Come dovrò vestirmi per venire in India? – avevo domandato al mio fidanzato tre notti prima della partenza.

- Quando ci troveremo a Mumbai e a Raipur potrai vestire normalmente, ma quando ci troveremo a Kailashpur dovrai stare più attenta. Ti consiglio di indossare pantaloni lunghi e una semplice maglia. Non dovrai mostrare la pancia e non ti meravigliare se gli indiani guarderanno i tuoi capelli. Ne saranno attratti. Probabilmente a Kailashpur non hanno mai visto una ragazza dai capelli biondi -.

Quei discorsi non mi avevano mai preoccupata. Sapevo che sarei stata attenta, e sapevo che avrei potuto godere della protezione di Abhai. Decisi però di non parlarne con i miei genitori che, tanto erano presi nel raccomandarmi di preparare in tempo la valigia, non si posero mai il problema del colore dei miei capelli. Quel giorno a Mumbai il caldo era insistente. Sotto il cielo terso andammo a visitare il Mar Arabico e ci fermammo a vedere una partita tra alcune squadre di cricket a Oval Maidan.

Eravamo circondati dagli eleganti edifici affacciati lungo l’Esplanade e tirai fuori la mia macchina fotografica. In hotel riguardai le fotografie che avevo scattato. I raggi obliqui del sole che sembravano tuffarsi nell’acqua del mare, e anche i sorrisi della gente. Le mie dita si muovevano impazienti sui tasti della macchina fotografica, vogliose di continuare a immortalare. Nonostante la stanchezza, quella prima notte in India Abhai ed io facemmo l’amore. Lui mi definiva sempre la ragazza più dolce della Terra, ma io pensavo che anche lui avesse una delicatezza unica per un giovane uomo. Abhai non mi aveva mai mancato di rispetto e le mie conoscenti mi definivano una ragazza fortunata “nonostante mi fossi innamorata di un indiano”.

Non tutti, infatti, vedevano Abhai di buon occhio. Credevano che sposarmi con lui sarebbe stato un grande errore, e che il suo scopo fosse rubare le mie ricchezze. Non sono ricca, e dire alle mie conoscenti che Abhai si era stabilito a New York da anni, ancora prima di conoscermi, non ha mai cambiato il loro modo di vedere le cose. Il volo per Raipur era in ritardo di due ore.

- Per fortuna non avremo delle coincidenze – osservò Abhai – altrimenti sarebbe stato un problema –. Due ore non erano abbastanza per andare a visitare qualcos’altro, quindi ci limitammo a uscire dall’aeroporto per respirare delle boccate d’aria. Facemmo i vari controlli con calma e poi, finalmente, ci sedemmo sull’aereo. Ero sempre più emozionata. Ci stavamo avvicinando alla meta. Saremmo rimasti in India per due mesi. Sapevo che era molto tempo ma Abhai mi aveva assicurato che, se non ci fossimo trovati bene al villaggio, allora ci saremmo trasferiti da un’altra parte, o saremmo tornati a New York.

- Sarà bellissimo – ho sempre insistito io, sapendo che per Abhai Kailashpur rappresentava la sua infanzia. Ero curiosa di scoprire dove fosse cresciuto. Avevo fatto qualche ricerca online ma non avevo trovato molte risposte, e poi sapevo che, un conto era guardare Kailashpur attraverso uno schermo, un conto sarebbe stato respirare l’aria di quel villaggio.

Durante quel volo fummo scossi da alcune turbolenze. I sorrisi del personale di bordo diventarono sempre più rassicuranti fino a quando, finalmente, non arrivammo a Raipur. Nonostante le case caratteristiche, anche Raipur mi ricordò immediatamente una città. Quando uscimmo dall’aeroporto era tardo pomeriggio, così Abhai decise di fermarci in hotel. Saremmo andati a Kailashpur l’indomani, alla luce del sole. Accettai, perché entrambi avevamo bisogno di riposare.

La stanza dell’hotel era più piccola se paragonata a quella di Mumbai, ma a me sembrò comunque perfetta. Le finestre erano molto sottili e intelate in una cornice di alluminio. - Sicuramente stanotte sentiremo tanti rumori – commentò Abhai, con aria leggermente infastidita. - Io invece penso che saremo talmente stanchi da non accorgerci di niente – mi limitai a dire.  Abhai pigiò uno degli interruttori ammucchiati nello stesso pannello e accese una luce fredda, che agli appassionati di E.R. avrebbe ricordato una luce da ospedale.

- Vado a lavarmi – mi fece sapere lui, aprendo una piccola porta bianca che dava su una minuscola stanza – ti consiglio di fare lo stesso, Sarah, perché a Kailashpur dovremo accontentarci dei pentolini –. - Lo farò – mi sbrigai a sorridere. Abhai ricambiò il sorriso, poi sparì in bagno. Io mi sedetti sul letto. Le molle cigolarono sotto il mio peso mentre mi guardavo intorno.

                                                                   - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

COME LACRIME NELLA PIOGGIA di Sofia Domino 

prezzo: GRATUITO. Se vuoi leggere il romanzo, manda una mail a:  sofiaromanzo@yahoo.it 

Sofia scrive a voi lettori: 

Invito i miei lettori a firmare gratuitamente una petizione per aiutare le donne dei villaggi rurali indiani ad avere una vita migliore e a donare ad Amnesty International, la più grande organizzazione per i diritti umani.

Info per la petizione: http://sofiadominolibri.blogspot.it/p/changeorg-petizione-india.html

data di pubblicazione: 19 maggio 2014.

Sito utile: http://sofiadominolibri.blogspot.it

Pagina Goodreads: http://www.goodreads.com/book/show/21976661-come-lacrime-nella-pioggia?from_search=true

Pagina Facebook dell'autrice: https://www.facebook.com/pages/Sofia-Domino/507359806040666

Caro Lettore

Arrivederci al prossimo appuntamento letterario

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