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" SEDOTTO DALL'INCOMPRENSIBILE " di Francesco Falcone

«Lo Zenit è il punto più alto della retta virtuale che unisce un osservatore ed il firmamento sopra di lui»

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BIOGRAFIA AUTORE

Francesco Falcone, nato a Napoli  , vive  a   Roma  da 40  anni .
Ha  studiato Chimica e   Filosofia .    Terminati  gli  studi  ha collaborato  con  una  nota  Agenzia  Stampa  di  Parigi  (Arzac)  come  fotografo e  documentarista. Dopo  numerosi viaggi  in Asia e  nel Pacifico, ha  continuato a  lavorare con  pubblicazioni  geografiche  del  settore.
Tornato  in  Italia, dopo alcuni anni, ha  fondato  a  Roma  una  sua Agenzia  per  la  produzione filmata  e  per  altre  forme  di  attività  promozionale  e  pubblicitaria:  Discografia, Moda, Spettacolo, Propaganda  turistica all’Estero in  collaborazione  con  l’ENIT. (Publi-Minifilm) .
Ha  ritrovato  la sua  vera  vocazione alla  ricerca e  all’osservazione  dedicandosi  ultimamente   alla  scrittura .
Raccontando, sembra  scrutare  e  analizzare la  coloratissima  sostanza intima  delle  cose e  le  reciproche interazioni, collegandole al significato ed al  fascino  del  loro manifestarsi.
Paiono  riemergere , così  applicati, i  meccanismi  delle  sue  discipline abbandonate  all’Università.
HA  scritto  inoltre : “ L’ infernale Jet-Set” e  “La  Bestia   che viene”.

PRESENTAZIONE

Un adolescente nel ‘44, in un caotico periodo, all’inizio dell’occupazione Alleata in Italia. Le imprevedibili novità e le annotazioni di curiosità, che gli avvenimenti dell’epoca recarono, narrati con originalità, in un contesto bizzarro, ormai storicamente unico e assolutamente irripetibile. Emotivo, sensuale, intrigante, tutti i turbamenti vissuti, ancora di sorprendente attualità, evocano però l’aroma dei tempi della gioventù, quella che tutti ricorderanno. I sogni che molti hanno vissuto: le passioni d’amore, la ricerca dell’anima, le pulsioni di ricerca e di evasione, si realizzano in un progetto istintivo e del tutto inconsueto, che il protagonista attuerà nella sua maturazione e che lo introdurrà in una strana vita caleidoscopica, di viaggi e di tempestosi episodi. Le sue esperienze vi porteranno a delle conclusioni, modernissime, forse rivelazioni, per lui risolutive, ma che lasceranno anche voi pensare in un modo nuovo… Si compie, a un certo punto, con una inaspettata storia d’amore, la prima vera umana esperienza del giovanissimo protagonista, in una isola nella quale qualcosa è successo, uno strano avvenimento è rimasto irrisolto; per lui restato ancora un segreto. Nella prima parte del romanzo, in tanti insoliti e strani eventi, gli si sono formate però anche tante esperienze: psicologiche, filosofiche, sentimentali, emotive che hanno coinciso con la prima tappa della sua maturazione.

Tutte necessarie alla risoluzione di curiosità e di ricerche, che emergeranno, per definire poi nella vita, le sue scelte. Dopo un salto di venti anni, nella storia appare un’altra isola nella quale lui si rifugia, quasi inconsapevole del perché. Ha lasciato in sospeso un conto che nessuno all’infuori di lui stesso reclama. La sua tesi di laurea in filosofia, per pigrizia, era rimasta incompiuta, anni prima. Ora ha un progetto: dare un nome e un perché a quanto non cessa di sollecitarlo… riunire in una parola tutto quanto lo circonda, trovare la formula che ne indichi i componenti e la loro funzione. Senza coinvolgere nessun creatore o divinità. Volutamente l’esperimento di ricerca è fuori dalle regole, affrontato quasi con scherno, per non perdere di vista la realtà alla quale è ancorato. Questa finale indagine, minuziosa, lucida, trasgressiva, sul filo del realismo più rigoroso, è indirizzata alla scoperta dei segreti più ascosi e più difficili dell’umanità. Quelli che tutti vorrebbero conoscere. L’interpretazione assolutamente spregiudicata degli aspetti incomprensibili, sacri, grotteschi, drammatici dei tanti eventi incontrati, porta la conclusione del libro a considerazioni assolutamente singolari e coraggiose. Un ultimo confronto con la morte e con il Creato, prova la straordinaria indipendenza e capacità della mente umana.  (G. Valentini)

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Buona lettura...

AVVENTURE DI UN CACCIATORE

SEDOTTO DALL'INCOMPRENSIBILE

I Capitolo

La prima notte dello Zen

Fra cinque miliardi di anni il Sole esploderà e si tirerà dietro tutto quello che lo circonda. E’ un fatto certo. Mi rendo conto che parte della galassia (quella nostra) se ne andrà a ramengo e mi solletica la curiosità di sapere cosa ne penserà Dio. Una stupida stella gli rovina il lavoro di tanti anni: Creazione ed evoluzione, progetti morali e devozioni! Non so che provvedimenti prenderà, se li prenderà. A meno di dover cambiare tutte le leggi dell’Universo, (e mi pare una bella scocciatura!) forse avrà già previsto di mandarci, tecnologicamente esuli, su un’altra costellazione… Che fatica inutile, nel caso che anche di là dovessimo un giorno fare i bagagli… Lo so che cinque miliardi di anni sono tanti ma il principio fondamentale è: possiamo fidarci e sistemarci tranquillamente, o no, all’infinito? … L’infinito, altra nostra pretesa…. C’è qualcosa che non quadra e spesso pensando a Dio temo di diventare blasfemo… Cercavo, tanto tempo fa, di essere sempre solidale col Creatore al quale, pensavo, avremmo potuto sembrare ingrati e pieni di pretese. Ma questo contrattempo era previsto? Mi avevano detto, per certo, che Dio non fa cose inutili, mi avevano sempre assicurato del suo magnifico “disegno” e del suo progetto di creature libere a sua immagine e somiglianza. Ma forse non intendeva all’infinito… questo… mica ce l’aveva mai promesso! Suvvia cosa pretendiamo allora? Anche i bimbi, talvolta dopo aver creato magnifici montaggi con il “Meccano“, non sono considerati crudeli quando poi li fracassano e ne costruiscono altri. Anche se lo fanno solo per giocare, per capriccio, o se cambiano fantasia. Oggi un’idea forse ce l’ho e ne parleremo certamente un’altra volta, più in là. Certamente non avevo la testa per meditare su tutto questo, allora, quando quei grossi bestioni volavano ronzando altissimi, lontani da noi, da quei puntini neri che li guardavano sbigottiti dalle campagne…

Loro sì che avevano un progetto mirato, tanto crudele e quanto mai giustificato! Dovevano “farci fuori” e, sempre nel nostro interesse, eliminare tutti i maligni che erano contro di loro e contro noi stessi, noi che non l’avevamo ancora capito. Ne parlavo con Evelina tante decine di anni fa, e questo era certo una triste, ma certamente opportuna visione delle cose, in quel momento. I conti tornavano anche se dolorosi. Fame e pidocchi… Saltavo ininterrottamente dalla grotta, in cui ero rifugiato, alla baracca dove avevo la famiglia sfollata, affamata e pidocchiosa anch’essa… C’era tanta emozione per quello svolgersi di avvenimenti che parevano tanto pericolosi, quanto morbosamente affascinanti. Evelina beveva dai miei quindici anni tutte le elucubrazioni filosofiche, storiche, politiche, scientifiche e tutte le altre menate che, a quell’età, può possedere un ragazzino; e con la soggezione tipica che una contadinella può avere per un personaggio erudito, che viene dalla città, mi dava sempre ragione… I suoi occhietti chiari mi scrutavano… (e chissà di tanto indottrinamento cosa le sarà restato). Quello, intanto, era un accogliente asilo quando i tonfi delle bombe ormai si avvicinavano anche a noi in quella stanzetta col focolare, buia, fuligginosa, odorante di legumi in pentola. C’era, misto insieme all’aroma delle sue numerose sottogonne, lavate col sentore di lavanda e con le erbette di campagna, anche la pelle bianca del suo collo tornito e i miei turbamenti. Tutto rientrava perfettamente, magicamente, nel grande globale disegno dinamico del “dare-avere”.

Nonostante i disastri, ai quali sapevo di dover andare ancora incontro, nonostante i dubbi e le paure del futuro con Evelina, allora mi pareva d’essere felice e appagato e comunque per il momento ottimamente sistemato. Il fatto, poi, che fosse maggiore di me di oltre dieci anni dava maggior fascino all’esaltante emozione che in me adolescente affiorava proveniente già da diverse strade. Insomma, un sano giusto ricavo, nel libro mastro della vita, tutto a mio favore. In mezzo ai guai mi formavo già un carattere da contabile in effetti; e questa mia predisposizione, usando la pazienza e la petulanza propria di un ragioniere oculato e laborioso, mi spingeva a organizzarmi per poter continuare ad avere sempre i conti in attivo o, al peggio, in pareggio. Forse quello era il periodo in cui sono stato più vicino a Dio, anche perché convinto che tutto quello che d’improprio e peccaminoso avessi fatto all’epoca, sarebbe potuto rientrare, poi, in un misericordioso condono divino. Quello nel quale, col doveroso pagamento di qualche monetina, anche l’”Azienda Mondo” sarebbe stata facilmente ripagata dei danni provocati in giro, così che nessuno potesse pretendere mai rimborsi nei miei o altrui confronti… Beata incoscienza! Questa allegra concezione della vita mi metteva al riparo anche da eventuali turbamenti morali. Già, perché c’era da mettere in conto anche questi, se fossero mai venuti, “gli scrupoli”. Avere dei rimorsi stravolge la serenità degli innocenti e degli impreparati, ma quando si è troppo giovani non si ha la capacità di adattarsi o di comprendere la comune morale… Ma tutto ciò, in quel periodo, era un altro capitolo tanto prematuro, quanto ininfluente… Ecco come anche la filosofia dell’etica, mi si veniva pian piano costruendo.

Questo pareva, nella costruzione, il secondo mattone, ipotizzando che il voler sapere (cosa più urgente) dove diavolo stavamo andando a finire in quel momento sembrava dover essere il primo. Non disperavo! Vi anticipo una convinzione dell’epoca: ero fermamente sicuro che Dio non avesse né progettato né creato “l’inutile”, e che perciò l’inutile non esistesse! Anche quel caos eccitante ed angoscioso non sarebbe stato inutile… catastrofe inclusa. Evelina certamente non è stata inutile in quanto, senza saperlo, mi ha lasciato il suo sapore di lana pulita e pettinata e ha, certamente, un posto nel bagaglio dei ricordi piacevoli dei quali cominciai, già da allora, a esser grato al mondo dei sensi. Mi tiro dietro anche questo piccolo ricordo nell’odierno patrimonio globale e di cui anche oggi mi sento arricchito… le grandi fortune si fanno anche ammucchiando i soldini. Leggevamo un libro insieme quando presi veramente contatto ,la prima volta. con lei. Nel momento ci fu un malizioso stupore, per nulla manifestato, quando afferrai il libro, cultura complice, tenendolo fermo perché non scivolasse dalle sue ginocchia. Nell’onesta passione di approfondirle un certo concetto esoterico (a quindici anni, questa passione nel condividere l’ignoto è particolarmente sentito), …cosa facevamo se non inoltrarci nei misteri del “chissà che, chissà dove”? La diversa temperatura che si avvertì subito, anche attraverso la stoffa, comunicò in silenzio a entrambi che ci si stava suggerendo una situazione nuova ed eccitante. La parte più nobile in questo comune turbamento di noi impreparati fu che nessuno, molto discretamente, dette il minimo cenno di attenzione né d’impazienza! Il contatto dei miei polsi, insistentemente poggiati sulle sue tonde ginocchia, ci avvertì chiaramente che segrete emozioni si stavano incontrando. In genere all’inizio, (e certo all’epoca molto di più) il costume femminile poco permetteva di dimostrare complicità o consenso in simili faccende, considerate vergognose. Il tutto doveva essere ignorato per non coinvolgere la propria rispettabilità morale in questo genere d’impudica “concessione”!

Evelina, certamente, ancora oggi perciò, sgranerebbe gli occhi fingendosi sorpresa se qualcuno accennasse alla sua partecipazione, cosciente, in quel che avvenne all’epoca. Il testo fu meditato con zelo, come era opportuno fare, con la schiena irraggiata dal focolare sul quale ci si era seduti; e lei quel giorno parve particolarmente apprezzare le mie osservazioni sull’argomento. Nel frattempo il Mondo si stava scatenando attorno a quel casolare di pietra, alle pendici di Montecassino, e due giovani si stavano avviando verso un futuro nel quale lo spirito e la carne avrebbero dovuto darsi molto da fare. A questo ci si preparava con incosciente rigore. Nell’apparecchio radio vecchissimo, di noce intarsiata, i tamburi di “Radio Londra” battevano colpi, lugubremente, per avvertirci della serietà del momento e dell’opportunità di prender giusti provvedimenti… E noi… già affinavamo la nostra preparazione all’ignoto per essere pronti ad affrontare, con animo adeguato, questo buio che si prefigurava. Pronti anche a morire per esso. Pensavo: la morte e l’amore camminano insieme… Non mi parve vero godermi questo discutibile assioma che, detto così, era quasi esaltante! L’amore e la morte per il momento non erano affatto incombenti, né potevano essere evocati in una situazione così modesta: una baracca di pietra con una pastorella confusa in un frugale evaporare di fagioli e castagne, che bollivano dappresso.

Era l’isolamento, il clima e la paura che invitavano alla fratellanza reciproca e, in sottordine, all’intimità. Apparve perciò, di nuovo, il generoso disegno di Dio che sempre ci consola nelle difficoltà, mentre il male viene tenuto lontano dai giusti. Quasi immaginavamo allora di essere attori e partecipi di un eroico storico avvenimento,… ma quale sorte ci attendeva tutti? Eravamo pronti anche a un destino diverso da quello, glorioso, che avremmo meritato? Questa predisposizione sacrificale era nell’aria… Ma molto nell’aria... anzi oggi sospetto che Evelina, pur stando sempre in sintonia con me, questa possibilità non la avesse nemmeno mai presa in considerazione. Da qualche mese in verità si viveva senza previsioni, solo attese, al caldo e con sensazioni neppure tanto adeguate alla situazione. Stranamente, ricordando fra l’altro quei giorni, mi si sovviene di non aver mai incontrato in quella casupola altre persone oltre Evelina. Non avrebbe dovuto esserci un padre, una madre almeno? Vivevano forse in un altro tugurio? Era mai possibile una tal cosa? Possibile una tale anomalia? Non ricordo oggi, infatti, nessun altro… tranne un fratello con una faccia schiacciata come una chitarra, sempre a caccia di passeri (ma d’inverno dove li trovava?). Lo incontravo quando anch’io andavo a caccia di castagne e lui fischiettava gioviale e distratto, per nulla sospettoso (e ne avrebbe avuta alcuna ragione?) del mio solerte interesse nell’erudire la sorella. Ma forse, io solo covavo malizia? Io solo… e nessuno avrebbe mai diffidato di me. Per concludere, però, nella casetta, comunque Beppe non lo avrei mai più incontrato. Mai,… e nel mio ricordo le pentole di erbe e legumi continuavano imperterrite a bollire. Per chi? Una situazione irreale, ancor oggi, irrisolta. Mentre si viveva così senza previsioni, gli aerei tornavano a ronzare alti, ogni sera.

Dall’imbrunire si distinguevano bene. Centinaia e altissimi… e questo ci suggerì di salire a scrutarli su di uno strettissimo soppalco, dove una piccola finestra sotto le tegole offriva una magnifica veduta sulla piana del Garigliano, e più in fondo si vedeva il mare. Lo vedevamo perché sapevamo che c’era. Stretti contro i vetri della finestrina discutevamo sulla strategia che gli alleati stavano seguendo o avrebbero intrapreso. Se andavano a Nord o a Sud a distruggere questo o quello. E noi? Sarebbe arrivato il nostro turno? La natura è una grande forza che rimette le cose a posto, e in questa angoscia ebbe la furberia di farci trovare questo angolo, dove poterci consolare nelle notti buie. Io sarei stato, in seguito sempre più, intrigato dal profumo di lavanda che la tenera pecorella bionda distillava da sé e distribuiva alle sue gonne e alla sua pelle. Lo trasmetteva direttamente, stoffa contro stoffa ai miei abiti che lo assorbivano, quando ci stringevamo serrati, uno sull’altro, per poter vedere e commentare ciò che si stava verificando, in quel momento, dietro quei vetri gelidi. Con assoluta finta innocenza ci stringevamo, stretti l’uno sulle spalle dell’altro, a turno, per dividerci il panorama e commentare insieme le emozioni. Imparò lei e imparai io a conoscere così il peso e tutto ciò che del corpo si chiama “forma”… Nessuno di noi mai osò muoversi o fare un gesto con malizia ma, con lei dietro di me, assaporai dettagliatamente sulla mia schiena tutto il tepore e la conformazione del suo seno pieno e sodo e, più giù, l’addome teso e rotondo e l’ombra delle sue piume, nel vuoto da capogiro che si formava tra il suo ombelico e l’inizio delle cosce, fin dove la mia anatomia riusciva ,spingendosi, a modellarsi e ad aderire. E con pignola attenzione, volta dopo volta, riconobbi anche nella pressione il duro dei suoi capezzoli.

Quando veniva il suo turno alla finestrina, ero io che poggiato su di lei, esploravo allora la sua schiena, tutta con tutti i suoi pieni e vuoti che si offrivano alla mia fremente aderenza. Il mio corpo, da allora e in seguito, fu autorizzato a incollarsi spudoratamente a quella silhouette che mai si opponeva alla mia spinta. E individuai col tempo, lentamente e muovendomi abilmente, il suo solco marcato nel fondo schiena col quale lei, ormai attenta e consapevole, centrava accuratamente il mio bacino. Fu un incontro che pareva ignoto a tutti, anche a noi stessi, del quale non ne avremmo mai ammesso l’esistenza o fatto cenno. Anche il respiro fu educato a non tradire alcun affanno o alterazione, per non rivelarsi, né compromettere o imbarazzare l’altro. Ciò ci permetteva di scivolare, abbandonarci al “peccato”, ma non ammetterlo. Guardavamo nel buio, oltre i vetri senza ormai vedere nulla… ma chi ci avrebbe più avvisato, quando ormai gli animali fossero passati? E in quel momento, mentre già da qualche parte essi stavano consumando una carneficina, gli stessi animali parvero con noi complici del nostro potente sconvolgimento. Dal solco, che ormai il mio aratro aveva pienamente riconosciuto, seppur attraverso lane, tele e trine sottili, si elargiva la consolazione che forse Dio permette al Mondo, quando lui questo Mondo lo dimentica o, fortunatamente, non si trova nel tracciato della sua ira! Percependo e avvertendo, intanto, l’inumidirsi di gioia dell’alcova che si nascondeva sotto quei merletti, come un mio contributo al banchetto segreto… detti ad essa , assetata, da bere.

Dietro la sua schiena, risalendo da radici lontanissime, il mio muscolo teso sentì avvicinarsi, prepotente, l’onda che ora avrebbe voluto annegarla…. L’onda risalì come elisir caldo e pungente, vellicando e infiammando tutto il percorso interno, per fermarsi un attimo sulla cima, per concentrarsi in un’affermazione di potere. Voleva ora sommergere tutto di lei, con autorità e determinazione, e finalmente, in uno sbocco, si sciolse come un’ondata rovente, veloce, densa, che si allargò sul mio ventre, incollando me, i miei pantaloni, le sue gonne e la sua pelle, in un blocco unico, umido e fumante. Nulla fu manifestato, nulla era successo. Lo smarrimento fu accortamente controllato, l’aspetto imperturbato. Questo avvenne ancora, altre volte, sempre più spesso. Passammo un inverno così. Sempre più spesso la inchiodavo di spalle sul davanzale, fino a che poi, col tempo, le mie pretese cominciarono a crescere e evolversi pian piano. Specialmente col buio, che arrivava presto d’inverno, capitò che dalle bestie (che, passando in cielo, sempre in quei momenti, sembravano volessero impadronirsi di noi in un macabro rituale), cominciassimo a coinvolgere nella nostra concertazione le stelle, lucenti, infinite, arcane davanti a noi... Ebbi così l’occasione, per la prima volta, di avvertire la loro importanza e cominciai da allora ad amare, nelle mie estasi terrene, anche gli astri misteriosi! Per la delizia della carne e della mente, sostituii loro all’ atmosfera lugubre dei bombardamenti, per dipanare e gustare meglio la mia gioia, la mia insana strategia… Avevo progettato, a un certo punto, che almeno in parte, le sue emozioni si palesassero… Che Evelina inciampasse in qualche debolezza, o che finisse, (schiacciata contro quella finestra buia), col manifestare ciò che la sua educazione e il suo pudore non le permettevano!

Ho scoperto cosi, in un laborioso studio sulle “impercettibili reazioni”, che una donna, tanto sollecitata, non può non tradire (anche se vuole resistere), una serie d’inconsce reazioni… Un lavoro di osservazione, puntuale e minuzioso, che poi ha dato i suoi frutti anche in successive occasioni nella vita… Adesso analisi e studi del settore sembrano aver rivelato tutto! Tutto ciò che avviene e traspare… ma non è vero! Ci sarebbe invece ancora da riscrivere, sull’argomento, tutto un manuale sugli alibi, le ipocrisie, i pudori, le ostinate negazioni, le difese, che molte donne ergono, pur di non apparire compartecipi o complici delle loro inconfessabili fantasie segrete. Avevo però un’avversaria convinta e determinata a non cedere. Mai avrei usato altri artifizi se non quelli convenuti, ma non dichiarati, per farla crollare. Esaminai altre tecniche, per poterla ridurre in condizioni meno difendibili. Secondo quelle regole non dette e il silenzio che ci eravamo imposti, cominciai col cercare di prolungare il nostro spasimo imponendole lunghe sofferte attese che si ripagavano però, nell’esito, con maggiori soddisfazioni. Riuscii, in perfetta immobilità dietro di lei, mentre le stelle dietro i vetri erano immobili e in attesa anch’esse, a farle percepire e sentire dettagliatamente, attraverso la stoffa, la crescita e gli spasmi della mia emozione e l’accumularsi e l’ingigantirsi dei miei umori profondi, la loro pressione prima della risalita vigorosa e vertiginosa nel buio della biancheria…. Vedevo che le sue labbra allora si stringevano e si appuntavano come se volessero lanciare un piccolo bacio nella buia vallata invisibile, in perfetta sintonia con lo sforzo in atto per trattenere l’impennata e poi la liberazione della mia gioia. Elaborai un giorno questo tormento fino a che le labbra paralizzate non le resero le gote pallide, esangui… Solo allora essa, spossata, avvertì la spinta… sentì, chiarissimo, il vibrare dello zampillo che scoppiava dietro di lei come un fuoco d’artificio… e con la stessa sincronia, in pieno sbalordimento, si abbandonò e poggiò la fronte contro il freddo vetro della finestra. Lasciò su di esso un’impronta delicata, come le ali diafane di una farfalla, e con l’unico udibile sospiro che si permise, la fece volar via!

Fu il massimo che ottenni da lei. Molti anni dopo lo psichiatra, che naturalmente era molto attento soprattutto alle mie prime esperienze sessuali, mi informò che mi ero sottoposto a una tortura inutile!! Ed ecco un altro che insisteva ancora con questo termine. Divinamente inutile…o, inutilmente, divino? Cosa mai ne sapeva Schultz di quella febbre che già ti brucia sottopelle, sale su dallo stomaco, e si annida sotto le palpebre mentre sin dal pomeriggio organizzi, mentalmente, lo scenario che ti accoglierà quella sera? ..Mentre pregusti le ore di tensione e immagini tutto il rituale malizioso di accostamento… nel pensare come predisporre l’altare… nell’attesa ansiosa, sino al sacrificio, nel quale io, lei, e Dio (al quale nulla si può nascondere) ci ritroveremo, alla fine, soli e subdolamente concordi, uniti in uno stravolgente silenzioso flusso d’inaudito piacere segreto, attinto direttamente dalle viscere della vita! Caro dottor Schultz, quante vere ”inutili” notti mi aveva già propinato il passato quando sin dalla pubertà, per non diventare cieco, avevo frenato qualsiasi manipolazione che avrebbe invece potuto acquietarmi? Durante quelle solitarie emozioni notturne quale meraviglioso caleidoscopio mi era stato promesso, d’impagabili premi da raccogliere, se avessi imparato l’attesa! Mi preparavo già, da buon economo, ad ammucchiare un patrimonio col quale, secondo le informazioni allora in circolazione, avrei meglio degli altri acquistato e posseduto un futuro di gioie indicibili. Il caldo pizzicore che allora, finalmente all’alba, pietosamente interveniva, da solo, a benedirmi e consolarmi, era uno stupendo anticipo del premio per l’attesa. Schultz non lo aveva mai provato.

La meccanica delle sue mani, affusolate e pallide, non gli aveva certamente mai permesso di fronteggiare angosce sottili con espedienti ancora più sottili! I risvolti istruttivi delle nostre lunghe permanenze sul davanzale, contro le stelle, aderente alla geografia del dorso di Evelina, non furono perciò certamente persi. Le notti fredde di quelle chiare stellate invernali, che abbracciavano i monti di Roccamonfina e Cassino, mi precostituirono tante future abili capacità. Il quasi continuo brontolio dei cannoni che giungeva soffocato dalla piana del Liri, alcune volte pareva volesse ammonirci a non aspettarci nulla di buono, talvolta suggeriva di prendercela con calma, in altre era una componente tragica ed erotica di quel poco che stava succedendo nella baracca di pietra. Il buio rischiarato dai lampi all’orizzonte, le candele che si consumavano sulla panca e il perenne odore di fumo e legumi, erano diventate ormai presenze temibili e ci facevano vivere con loro quasi in un’unica, preoccupante dimensione. Una dimensione si stava formando, dalla quale, avvertivamo, si sarebbe presto dovuto ripartire, e nella quale il passato ormai non esisteva più. Ci diceva che non sarebbe stato, però, mai più accogliente e rassicurante. Se fossimo morti e ci avessero trovati così, saremmo potuti apparire come due osceni fratellini, che si tengono avvinti solo per paura della notte, lunghissima, che li aspetta. Io consumavo le mie energie senza sosta nella culla delle sue natiche. Lei forse pensava, riducendo sempre di più lo spessore delle sue gonne, ad accumulare gioie, forza, vita, fiducia e speranze per la sua carne. Come un fiore assetato, si lasciava annaffiare più volte durante le notti. E comunque sembrava affamata di vita. Al lume della mia futura esperienza, penso che non sarebbe però andata, in futuro, mai oltre lì…

Oltre il desiderio di vivere ed essere concimata poderosamente tutti i giorni, in silenzio. Questa situazione, che oggi pare criticabile, ritengo invece sia stata una sana difesa, onesta e legittima esigenza della natura. Per ambedue, con differenti alchimie, tutto ciò era consolante, il più saggio e piacevole provvedimento per fronteggiare il momento. Non era, dunque, un accordo equivoco. Noi producevamo vita… enormi quantità di progetti di vita, persi, inutilizzati nella biancheria, per tenerci forse pronti quando Dio ci avesse comandato: “partite e ripopolate tutti i luoghi nei quali ora la gente sta morendo.” Quando il rombo dei cannoni, da sordo brontolio lontano, divenne sempre più prossimo a noi e quando senza misericordia arrivò alle soglie della baracca, fui costretto a fuggire. O peggio, i soldati tedeschi, ormai numerosi e accigliati, con visi più preoccupati dei nostri, strinsero quelle quattro casupole, agguantarono quei quattro stracci di uomini e ragazzi deperiti che trovarono e comunicarono loro che era ora di andare a lavorare in Germania. Ma questa è un'altra storia… Finora in quella guerra erano capitate esperienze appaganti, ma anche non futili. Bisogna intendere come, d’altronde, e cosa minimo, si può pretendere da un quindicenne, al quale, attraverso una balorda storia che inizia con gioie in solitudine, non possano scaturire forse nella vita che conseguenti altri mirabili episodi di gioie e di solitudini. Che hanno una loro eleganza! La solitudine non l’ho mai temuta, ed esaminando il poi, non mi ha per la verità nemmeno mai afflitto o perseguitato. Con la solitudine tutti ci nascono… e anche quando non sembra affatto congenita in te si presenterà immancabilmente nei momenti critici.

Ognuno di noi ha dentro di sé, in parte, una solitudine miseranda, triste, contagiosa ma ha anche una soli-tudine elegante, elitaria… quella che io chiamo eli-tudine… quella dignitosa, coraggiosa, che ti appartiene, compagna solidale, con la quale convivi, parli, ed è al corrente, complice e depositaria dei tuoi segreti per tutta una vita. Contro la solitudine, qualcuno mi suggerì di creare un compagno all’interno di me stesso? Dentro di me…. In verità, non mi fu detto da nessuno, ma dall’elaborazione para-filosofica di differenti dottrine, certamente sagge, mi fu sempre consigliato di confrontarmi, in me stesso, come con un esterno utile contraddittore. Scoprii nel tempo poi, che io, questo compagno lo avevo dentro già dalla nascita. Chissà quante persone si ritrovano oggi in compagnia di un simile petulante interlocutore interiore... ma a tal proposito non mi ero mai preoccupato di sapere come fosse sistemato il resto del Mondo. Anche in questo momento non ne ho un’idea precisa. Però, fortunato o meno, so che il mio pedante assiduo mèntore, non mi ha mai lasciato un istante da solo. Fin dove arriva la memoria ricordo di aver sempre interloquito con ”quest’altro”. Un discorso a due, minuzioso e continuo, che si svolge anche negli avvenimenti meno influenti. Faticoso fu ed è, perché quest’altro me esige, fra noi, una dialettica semanticamente e sintatticamente ineccepibile… Non si accontenta di un discorsetto accennato alla buona. Poche parole buttate là per sapere di cosa stiamo discutendo… No! Commenti ed esposizioni debbono essere espressi sempre in “elegante” (che fissazione!) e colto stile letterario. E’ questa la caratteristica strana del fenomeno che dovrò un giorno spiegarmi!

Molte volte, infatti, sono stato costretto a ricostruire, in bella forma, dotta, corretta, e con adeguate terminologie ciò che mi era sembrato, nell’intimità, sufficiente, facilmente accettabile e comprensibile da questo scocciatore che ospitavo. Se tutto il Mondo pena in queste stesse situazioni, mi consolo… altrimenti, anche se un po’ tardi, dovrei prendere provvedimenti... Qualcuno le chiama nevrosi. Questa presenza, talvolta, mi fa sentire superaffollato e desideroso di un po’ di pace. (Una solitudine complessa e popolata…) Nelle disquisizioni sulle stelle, l’infinito, l’ignoto, che riuscivo a elaborare, spesso ovviamente incollato ad Evelina, non ottenevo sempre adeguato conforto letterario dalla mia adorabile partecipante, e allora la mia interparte interloquiva subito, forbita e competente, a correggerla e a esporre il suo punto di vista. Questo, forse, fece sì che non avvertissi mai noia o solitudine. Io prendevo allora la parola da lui, e la informavo di cosa l’altro avesse detto. Debbo dire che dal punto di vista culturale il mio partner era abissalmente più preparato della mia compagna e diceva cose che lasciavano talvolta stupefatto anche me…

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SEDOTTO DALL'INCOMPRENSIBILE-AVVENTURE DI UN CACCIATORE -  di Francesco Falcone - ilmiolibro.it - Falcusstrenne

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Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.

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