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Pubblicità e gambling: un binomio indissolubile, nonostante gli sforzi

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Quando Henry Ford coniò la celebre frase «La pubblicità è l’anima del commercio», probabilmente non si sarebbe aspettato che un secolo dopo, proprio gli spot sarebbero diventati materia di dibattito.Nel XXI secolo, il boom che ha avuto il settore del gioco d’azzardo, ha posto il governo italiano di fronte ad un vero e proprio dilemma: cercare di limitare in ogni modo un’industria che è diventata una fonte di reddito primaria per le esangui casse dello Stato, senza danneggiarla in termini di profitti. Il Codacons chiede da tempo che venga vietato ogni tipo di pubblicità inerente al gambling. Nonostante queste richieste, però, il gioco d’azzardo rimane in un limbo legale, di cui non si vede soluzione.

A trainare il settore del gioco d’azzardo è la pubblicità. Gli spot che vengono trasmessi, dove si mettono in risalto bonus di benvenuto e le infinite opzioni di gioco, fungono da traino nei confronti degli spettatori/giocatori. Nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2017, sono stati spesi circa 45,9 milioni di euro, con un incremento dell’1,8% rispetto al 2016. Da notare che gli sforzi pubblicitari si sono concentrati maggiormente nel settore televisivo con investimenti che ammontano a 39,4 milioni di euro.

Il decreto legge dell’8 agosto 2016, ha tentato di porre un freno a tutto ciò, vietando gli spot sul gioco d’azzardo legale sulle tv generaliste dalle 7 alle 22. Questo, però, non ha fermato il fenomeno, tanto che su Sky e Mediaset Premium, soprattutto durante le partite, vanno in onda pubblicità inerenti i siti di scommesse. Proprio sul legame tra pubblicità e tv a pagamento c’è una sentenza del Tribunale di Milano che deve far riflettere.

Il Tribunale di Milano, con una sentenza del gennaio 2018, ha respinto una richiesta del Codacons che chiedeva lo stop alla messa in onda della pubblicità sul gambling durante le partite. La motivazione addotta dall’Associazione consumatori era che le partite dovevano essere considerate trasmissioni dedicate ai giovani e quindi soggette al divieto del Decreto Balduzzi. Il Tribunale, però, ha affermato che i programmi in questione non sono trasmissioni rivolte specificamente ad un pubblico minorenne e quindi rispettano gli standard qualitativi dettati dal decreto. Inoltre, ha sottolineato che gli spot incriminati riportano, come da legge, gli appositi avvisi previsti circa i rischi e le dipendenze legati al gioco Questa tesi di fatto, pone al riparo le società di gambling da eventuali azioni tese a bloccare del tutto gli spot televisivi. Se, infatti, viene riconosciuto che queste rispettano comunque gli obblighi di legge, avvisando gli spettatori del rischio di GAP, non si vede quale «scappatoia» si possa usare per vietarle in toto.

Un fenomeno probabilmente sottovalutato dallo stato è quello del gioco online. A spingere verso questo incremento ci sono diversi fattori. Anzitutto la facilità di accesso alla rete grazie all’utilizzo di smartphone e tablet. In secondo luogo, la varietà di giochi e le maggiori vincite che vengono offerte su internet. C’è poi un certo fattore da considerare ed è quello di poter giocare live: la possibilità di poter scommettere su un evento mentre lo si sta guardando, «prevedendo» ciò che accadrà nel corso del match, aumenta il flusso di gioco.

L’influenza che la rete sta assumendo, rischia di vanificare ogni presa di posizione riguardo le pubblicità «terrestri». Le normative vigenti, infatti, puntano a bloccare gli spot sulle televisioni, ma non esiste nessun divieto su quelle online. Questo significa che, se anche si vietassero in toto gli spot, non si risolverebbe il problema. Se è vero che la pubblicità su internet è crollata del 32%, stando agli ultimi dati, questa sembra destinata a risalire prepotentemente, soprattutto grazie alle promozioni «ad personam», come, ad esempio, le pubblicità sponsorizzate su facebook.

Il legame tra pubblicità e gambling sembra quindi destinato a continuare in maniera proficua, nonostante le numerose opposizioni.

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