Abbiamo intervistato lo scrittore sestese ALBERTO PIAZZI che ha pubblicato "IL DOSSIER E", un intrigante "giallo di formazione" dalla trama avvincente che trasporta il lettore in una storia ricca di suspence e colpi di scena. L'autore Alberto Piazzi ci ha dedicato un pò del suo tempo per raccontarci il suo universo narrativo, ci ha raccontato il suo rapporto con Sesto San Giovanni, i motivi per i quali si dedica alla scrittura, i progetti per il futuro, il nuovo romanzo che parlerà di Sesto San Giovanni...
1. È da poco uscito "Il Dossier E", un intrigante giallo che si sviluppa attorno alla indagini conseguenti a un delitto "importante" che appassionerà il lettore con una linearità narrativa coinvolgente. Innanzitutto com’è nata l'idea di scrivere questo libro?
Quasi per caso. L’intenzione era quella di scrivere il racconto di una partita di calcio tra ragazzini di quinta elementare. Alla fine della narrazione mi sono fatto prendere la mano e, fantasticando tra fatti veri e vicende inventate, ho continuato la storia. E sa perché? Semplice, perché non volevo uscire dal mio rifugio, quello in cui ho trovato il piacere di scrivere.
2. Come definirebbe la sua scrittura?
Narrativa, versatile, capace di spaziare tra generi diversi con estrema facilità . Infatti, all’inizio, Il dossier E è un romanzo sportivo, poi diventa un romanzo giallo, alla fine è un romanzo di formazione, dove i valori e gli ideali del protagonista si scontrano con gli intrighi delle lobby e gli affari dei faccendieri.
3. Quali sono i suoi autori di riferimento, quegli scrittori che hanno contribuito ad aumentare la sua passione per la scrittura?
Ne cito cinque. A 14 anni ho letto uno dopo l’altro i romanzi di Ernest Hemingway. Poi mi sono innamorato dei classici, in particolare di John Steinbeck e Jack London, e dei gialli, con una predilezione per quelli di Agatha Christie e Georges Simenon.
4. La sua vita si divide tra Sesto San Giovanni e Bruxelles: quanto di Sesto San Giovanni c'è in questo libro?
Chi scrive è un ladro di storie, compresa la propria. Alcuni personaggi, o scene, sono ricordi sestesi traslati a Bruxelles. I miei amici non hanno fatto fatica a riconoscersi. Ci sarà molto di più nel prossimo romanzo, in libreria tra nove mesi, che racconta la storia di un ragazzo nato nel 1960 al Villaggio Falk. Sullo sfondo c’è la Sesto degli anni ’70-’90, un periodo di grandi trasformazioni, con conseguenze sociali di non poco conto.
5. Quando è a Bruxelles, cosa le manca di Sesto San Giovanni, e viceversa?
Gli amici. Quando sono qui mi mancano quelli di Bruxelles, così come quando sono a Bruxelles mi mancano quelli di Sesto. Ma, guardando la Sesto di oggi, apprezzo di più l’efficienza dell’amministrazione belga, i servizi che funzionano, i parchi ben curati…
6. Se dovesse consigliare tre scrittori contemporanei, quali sceglierebbe?
Per non fare torto agli scrittori italiani, che sono bravissimi, ne consiglio tre stranieri. Cormac McCarthy per la trilogia della frontiera, sarei contento se gli assegnassero il Nobel per la letteratura. Poi la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, perché Americanah è proprio bello. Infine Gregory David Roberts, per Shantaram, un romanzo che si legge tutto d’un fiato.
7. Che senso ha oggi scrivere ancora libri, raccontare storie e proporre racconti che abbiano quella potenza comunicativa capace di scatenare interesse nel lettore?
Ha senso se lo scrittore ha qualcosa da dire, se trasmette uno o più messaggi in mezzo a una storia vera o inventata, che fa ridere o piangere, cioè a relazioni e vicende che riproducono nella pancia del lettore i sentimenti emotivi dello scrittore.
8. Secondo lei quando un libro oggi si può dire "di successo"?
Il successo è commerciale. Se il libro vende vuol dire che ha successo, se non vende vuol dire di no. Ma, per uno come me che ha trovato nella scrittura un rifugio e un modo per divertirsi, il successo arriva quando qualcuno mi chiama per dirmi che gli ho comunicato qualcosa di importante, o che sono riuscito a strappargli un sorriso.