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The Hateful Hate

La natura di un testo e prove di orizzonti testuali inediti

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Si stanno spendendo molte parole sull'ultimo film di Quentin Tarantino e francamente poche meritano attenzione. Andando oltre il dire il proprio giudizio di gusto che è sempre strettamente personale e che non è, ricordo, un indice di valutazione estetica oggettivo, spenderei gli sforzi cognitivi sulla natura testuale dell'opera.

The Hateful Eight è diviso in diversi capitoli, racchiusi in due atti e contenenti differenti generi cinematografici e letterari funzionali a dettare il ritmo e modulare la frequenza della tensione che, culminante in precisi punti di svolta, esplode fragorosamente. Il Giallo rende possibile il gioco di ombre dei personaggi, l'Horror e lo Splatter sfogano l'insostenibilità del genere precedente e disturbano il nostro politically correct, lo Storico tratteggia una situazione americana e mondiale tutt'altro che passata. Ad accompagnarli come personaggio determinante, c'è la colonna sonora di Ennio Morricone, alter ego della tempesta di neve dagli echi shakespeariani che costringe gli otto a convivere sotto lo stesso tetto.

 In questo polpettone di riuso e gioco, il regista de Le Iene si attiene fedele a sé stesso e basa il sistema di racconto fornendo allo spettatore, prima le risposte e poi le domande. Dove, invece, avviene qualcosa di insolito, è nell'utilizzo delle differenti forme narrative. Un film come Pulp Fiction, ha definibili in sé, i tre grandi regimi del racconto che presiedono all'organizzazione diegetico narrativa del cinema e dei film: narrazione forte (i personaggi sono ciò che fanno e questo porta avanti l'azione e la trasforma in due percorsi possibili di spinta in avanti e di ciclicità), narrazione debole (gli ambienti e i personaggi diventano enigmatici e perdono di sostanza), antinarrazione (le trasformazioni sono lente e le relazioni logico-causali sono rimpiazzate dal caso, tempi moti e dispersivi). Il modello è un'opera simile all'ipertesto (testo aperto e soggetto a differenti letture) ma che funziona a modulazioni di frequenza. Come ai nostri cambi di canale della radio o della tv, si sintonizza ogni volta su diversi racconti o frammenti delle storie cardine del suo intreccio. In The Hateful Eight tutto questo è appannaggio dei personaggi, delle loro identità e storie e poco della disarticolazione di fabula ed intreccio.

 Il maggiore Warren (un ingiustamente escluso dagli Oscar Samuel L. Jackson)  e Chris Mennix (Walton Goggins) sono propri dell'antinarrazione. Sospesi e statici nell'ambiguita non subiscono alcuna trasformazione. Capitati nella situazione per caso, non ci daranno mai quanto sono sinceri o quanto sono bugiardi. L'unica cosa che ci forniscono è la natura della lettera di Lincoln che il maggiore custodisce gelosamente. La natura di un testo.
Il vecchio Generale Sanford Smithers, al contrario è proprio della narrazione debole, tanto quanto l'Emporio di Minnie. La banda Domergue se apparentemente è definibile proprio dell'antinarrazione, si scopre appartenere alla narrazione forte. E così via.

 Ma manca ancora  il linguaggio principe al quale il fim appartiene. The Hateful Eight è stato distribuito in due formati, digitale e 70mm. Quest'ultimo non è soltanto estetica e difesa della pellicola, ma un elemento che fa la differenza. Prima dell'inizio dell'azione filmica è presente l'Overture di Morricone e nel mezzo il "capitolo" Intermission atto a segnalare una pausa di 15 minuti. Tempo corrispondennte a quello diegetico: mentro lo spettatore va al bagno, o a comprarsi i pop corn o si infila le dita nel naso, i personaggi continuano ad agire. La voce narrante lo dice immediatamente al recupero dell'azione sullo schermo. Se la sala di proiezione ha rispettato questa durata, gli spettatori diventano autentici personaggi antinarrativi, sospesi e lì per caso. Svolgendosi in un'unica location, l'Emporio di Minnie, e completo rispetto al digitale di questi due innesti, capiamo che il film non è altro che uno spettacolo teatrale. Solo la televisione in qualità di linguaggio, ha restituito il teatro. Tarantino, l'ha permesso al cinema.

 Peccato che interessi a pochi e passi in secondo piano.

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