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Appena sceso dall'aereo ed espletate le formalità burocratiche del rientro, chiamò ancora Enrica ma per l’ennesima volta, la solita fredda e sgradita voce registrata, continuava a ripetergli meccanicamente “...messaggio gratuito, il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile". Pensò, allora, di chiamare i suoceri, facendo attenzione a non allarmarli. Disse loro che intendeva rassicurarli che il viaggio di lavoro aveva portato ottimi risultati e che era sulla via del ritorno “Splendido Leo, congratulazioni! Hai già avvisato Enrica?” chiese la suocera “ non ancora … la chiamo subito”.
Questo significava che Enrica ed Elisa non erano lì. Gli parve che il cuore smettesse di pulsare, o forse fu proprio così, dato che, per qualche secondo, gli si annebbiò la vista ed ebbe bisogno di sorreggersi alla parete. Riprese fiato consapevole di doversi far forza a tutti i costi e, profondamente angosciato, afferrò la valigia dirigendosi al parcheggio dove, all'andata, aveva lasciato l'auto.
Durante il viaggio, pensava a loro, moglie e figlia, e la sua vita gli scorreva davanti come in un film. Si rivedeva nel momento in cui l'infermiera del reparto maternità gli consegnò in braccio per la prima volta Elisa, la quale sembrava volerlo scrutare schiudendo e richiudendo gli occhi, in un'espressione curiosa, con la piccola e fragile mano e le dita che stringevano, attorcigliate come un'edera al suo indice, come a dirgli “Ora che ti ho preso non ti mollerò più!”. E rimasero così, entrambi emozionati e sereni a lungo. Ad osservarsi e annusarsi mentre Leo le parlava, le diceva di quanto l'aveva attesa, del tempo passato a cantarle canzoni quando in lei, nel caldo e sicuro grembo materno, maturava la vita.
Ripensò poi, a quando aveva conosciuto Enrica e al primo bacio, seduti sugli scogli del molo della baia Portonovo poco prima di una Pasqua di tanti anni fa. Grazie a questi dolci ricordi ritrovò la serenità, pensò di avere esagerato nel preoccuparsi e che sicuramente, cretino a non averci pensato subito, le avrebbe trovate a Sirolo, a casa di Doriana, amica d'infanzia di Enrica che, quando poteva, andava a farle visita.
Tanto più, nel vecchio casolare ristrutturato, con la muratura portante in pietra del Conero spessa un metro, il segnale del cellulare non arriva, trasformando l'indispensabile oggetto non plus ultra della tecnologia del terzo millennio, in un inutile e obsoleto elettrodomestico. Sicuramente è così! Pensò cercando di convincersi Leo che, comunque, proseguì il viaggio in autostrada a velocità sostenuta.
Arrivò ad Ancona intorno alla mezzanotte, il cuore gli batteva forte. Entrò in garage e l'auto di Enrica non c'era. Continuò a pensare che, in effetti, poteva essere da Doriana. Il mattino si sarebbero sentiti. Si svegliò che si era fatto già giorno e, istintivamente, in un gesto che faceva ogni mattina, si allungò per cercare sotto le lenzuola il corpo caldo e avvenente di Enrica. Questa volta, però, trovò solo il freddo del letto vuoto. Fu come uno schiaffo al cuore che lo fece rizzare seduto sul letto a guardarsi intorno, come se si fosse svegliato in un ambiente sconosciuto e ostile.
Si alzò subito e si mise a girare lentamente per la casa, inusualmente vuota e silenziosa. Si guardava attorno circospetto. Poi notò l'armadio nella camera di Elisa con le ante aperte. Non pensò nulla. Entrò nella stanza e lo vide svuotato come, nel medesimo istante, stava succedendo alla sua mente. Come un automa, si spostava di stanza in stanza senza toccare nulla. Cercava di allungare il tempo dell'attesa, nel tentativo di ritardare la lettura dell' inappellabile sentenza che il destino si apprestava a rendergli nota. Finché spalancò le ante dell’armadio di Enrica. Vuoto.
Non capiva perché, anzi, si rifiutava di capire. Prese il telefono, il cuore gli batteva e le tempie sembravano voler esplodere. Tentò di comporre più volte il numero di Doriana ma le voci che rispondevano erano ogni volta diverse e mai quella giusta. Riattaccava muto, confuso, senza nemmeno riuscire a realizzare quale fosse il numero digitato. Finalmente la voce conosciuta. Era Doriana. Sembrava cordiale, si sforzava di apparire quella di sempre “Ciao Leo, mi fa … piacere sentirti, come stai? E come è andata la trasferta ad Abu Dhabi?” “Sono tornato 'stanotte ho trovato la casa vuota … Enrica … Elisa … non ci sono nemmeno i loro vestiti …. niente …. non c'è più nessuno. Sono venute da te, le hai sentite, hai loro notizie?” chiese Leo senza prendere fiato.
La risposta non arrivò subito, trascorsero alcuni interminabili secondi. Smise di respirare. Dall’altro capo del telefono il silenzio di Doriana. Leo, con il cuore stretto dal morso dell’angoscia, sentì il bisogno di gridare “Doriana mi hai sentito?” “Si … si Leo … ti ho sentito … non urlare! Non ho notizie di Enrica da … da alcuni giorni ... ma tu stai calmo, resta a casa che magari … forse … aspetta che si faccia viva lei ...” rispose Doriana con un tono che lasciava trasparire un certo disagio. Sembrava anche infastidita da quella telefonata.
La disperazione stava divorando Leo. Un sentimento forte, distruttivo, che stava logorando il suo animo e trasformandosi in rabbia, violenza che in qualche modo doveva esplodere. E fu così che urlò una frase che non avrebbe voluto mai pronunciare:
Caro Lettore,
quale frase pronunciò Leo, preso dalla disperazione e dalla rabbia di non sapere dove fossero le donne della sua vita?
Arrivederci al prossimo appuntamento con Leo.