Amarcord è uno dei film più noti di Federico Fellini, al punto che lo stesso titolo, nato dall’unione lessicale dell’espressione romagnola «a m’arcord» (io mi ricordo), è divenuto un neologismo della nostra lingua.
La vicenda del film narra un anno esatto di vita del giovane Fellini, da una primavera all’altra, durante il quale Federico assiste al quotidiano del tempo: le parate fasciste, la scuola, gli amici perdigiorno, e tutte le proprie fantasie, soprattutto per l’inarrivabile Ninola, detta La Gradisca, la bella donna decisa a trovare un marito affascinante come Gary Cooper, pronta nel frattempo però a offrirsi con generosità in qualche occasione.
Eppure nel finale del film qualcosa non tornerebbe: La Gradisca, infatti, sposa un modesto carabiniere meridionale, rinunciando al proprio sogno di realizzare un matrimonio con un divo americano. L’idea di chiudere il film con una scena collettiva come in 8 e mezzo, e di ambientare la scena del modesto sposalizio, non è di Federico, bensì di Riccardo Fellini.
Federico chiese infatti al fratello minore di riproporre sul grande schermo la scena di un pranzo di nozze, ambientazione già proposta da Riccardo nel suo sfortunato film d’esordio da regista Storie sulla sabbia del 1963.
Se si osserva con attenzione i due film, si possono notare molte similitudini tra le sequenze: l’ambientazione al mare in un anticipo di primavera, l’improvvisata tavolata, la modestia degli abiti, gli ospiti improbabili, la gioia dei bambini presenti, il musicista vagabondo, e soprattutto la malinconia della sposa. Inoltre, a differenza di tutte le altre scene di Amarcord, create dal genio di Danilo Donati, il set è risolto con pochissimi elementi di arredo, quasi a dimostrazione che la sequenza finale sia stata girata in extremis al termine della produzione del film, o più probabilmente in sostituzione di un altro finale.
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