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" LA VOCE DI NERO " di Valentino Eugeni

Un viaggio in una trama oscura, misteriosa e intricata. Un intreccio tra presente e passato. Un libro da leggere tutto d'un fiato.

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BIOGRAFIA AUTORE

Valentino Eugeni, marchigiano classe 1975, è un informatico irrazionale che si è dedicato per anni allo sviluppo di videogiochi. Di indole eclettica e caotica, ferocemente curioso e dotato di un’immaginazione a volte spaventosa, approda al mondo della narrativa intorno ai venticinque anni, dopo essersi nutrito di pane e fantastico fin da quando ha memoria. Scrive racconti per esplorare la miseria e la gloria dell’animo umano, e detesta i cliché del fantasy eroico, amando creare personaggi scomodi, al limite dell’immorale. Nictofiliaco, ormai ha acquisito il ritmo circadiano delle sue tre gatte.

PRESENTAZIONE

Caro Lettore,

La voce di Nero, primo romanzo ma non primo successo di Valentino Eugeni, si presenta come un romanzo urban fantasy, ma in realtà è un vero e proprio noir. La componente fantastica è marginale ed è l’ambientazione e l’intricata quanto affascinante psicologia dei personaggi ad affascinare il lettore, che viene fin dalle prime pagine legato a filo doppio all’animo turbato e conturbante del protagonista. Non ci si aspetti quindi una sanguinaria storia di vampiri o l’ennesima riproduzione del fantasy classico: qui il viaggio è tutto in una trama oscura, misteriosa e intricata. Riga dopo riga, la lettura viene via via spinta a ricercare un finale che, in realtà, è un principio. Questo perché ci troviamo di fronte ad un romanzo che percorre due storie parallele.

Mentre la storia di Madeleine, la giovane pittrice parigina rapita da una misteriosa organizzazione che dà avvio al romanzo, procede in avanti alla ricerca della reale e segreta identità del padre, quella di Jacopo, personaggio portante e antieroe della vicenda, viene ripercorsa all’indietro. Più si procede, più si diventa consapevoli del fatto che la parte importante della storia non è la fine, ma l’inizio: rimbalzando tra passato e presente, si percorrono voracemente queste due strade opposte, che cercano l’una, una resa dei conti finale e l’altra, una causa scatenante iniziale, persa in un passato indefinito e nella coscienza tormentata di Jacopo.

Ogni capitolo rappresenta un singolo pezzo di un complesso puzzle che narra una storia di dolore e di vendetta. L’autore è abile nel rivelare fin quasi dal principio che gli episodi che paiono sconnessi tra loro e che sembrano susseguirsi a caso, sono in realtà legati e aspettano solo di trovare i fili logici che ne dimostreranno la connessione e che paleseranno la struttura della trama. Al lettore, anche se inesperto, non sfuggono gli indizi: alla ricerca degli eventi passati e presenti, cercherà rapito la soluzione al puzzle, il quadro finale che darà senso, causa e scopo a tutta la vicenda.

Ambienti tratteggiati con particolarità, angosciosi tormenti psicologici, personaggi reali e crudeli, trama appassionante, struttura avvincente. C’è quanto basta per il gusto e la passione di ogni lettore.

Buona lettura...

LA VOCE DI NERO

Capitolo Uno 

Trucioli di ferro e olio per motori

Non era morta, di questo era sicura. Era immersa nell’oscurità più completa e non riusciva a muoversi; aveva freddo ed era distesa su un pavimento di metallo che sobbalzava di continuo. Udiva il rumore di un motore diesel molto vicino; si sentiva debole, intontita e nauseata, con in bocca la sensazione di aver ingoiato un tubetto di colla. Madeleine era sballottata a destra e a sinistra ad ogni curva, ma era confusa, non riusciva a provare paura. Dall’abitacolo proveniva una musica ritmata, interrotta da fruscii, e un dialogo che impiegò molto tempo a decifrare. Non sapeva stabilire da quanto tempo fosse sveglia, né quando fosse stata rapita. “Io sarò un uomo all’antica," affermò una voce tranquilla, anziana. "Ma ti consiglio di aspettare la donna giusta. Io e mia moglie viviamo felici da quasi quindici anni, e non c’è niente di meglio di un bel focolare domestico.” ”Il focolare domestico.” Ripeté una voce più acuta e più giovane che si abbandonò a una risata a singhiozzo. “Non è roba per me, non ci provare.” Il cuore le aveva sussultato nell’udire le due voci ma non sapeva stabilire il perché. I due continuarono a discutere eppure lei non riusciva a seguirli: aveva una forte emicrania e il rumore del motore le rimbombava in testa. Udì lo schiocco di un tappo di bottiglia, poi la voce acuta ironizzò: “Tua moglie deve essere un po’ tonta per non accorgersi del lavoro che fai...” La voce anziana ringhiò. “Dì quello che ti pare ma lascia stare mia moglie! Ci siamo capiti?” “Scusa, scusa. Si faceva così per dire!”

“Comunque ho una copertura come corriere internazionale.” “Ah-a. Io non ho di questi problemi e non voglio averne! Ho intenzione di fare carriera e voglio farmi trasferire.” “Davvero? E dove?” “Ho fatto richiesta per il diciassette.” La voce del giovane squillò di entusiasmo. ”Ho già fatto i test attitudinali, tutti positivi!” La voce pacata fece una lunga pausa, poi sentenziò: “La pellaccia è tua.” “Lo dici come se avessi scelto di spararmi in bocca! Tu vuoi continuare a fare questi lavori del cazzo? Travestiti come due fessi a rapire puttanelle?” La voce pacata fece un’altra lunga pausa e il giovane si sentì autorizzato ad incalzare. “Sai che ti dico? Che vada al diavolo tutto il dodicesimo e tutta l’organizzazione. Se mi prendono al diciassette avrò una paga da sogno… ma poi non è solo quello! Voglio cacciare!” Il vecchio non riuscì a trattenersi. “Non sai quello che dici!” Sbottò. ”Tu non ne hai mai visto uno!” “Se mi capita sotto uno di quei cosi, lo impallino per bene. Bang, bang!” Era esaltato. “Sono un ottimo tiratore.” Madeleine scosse la testa cercando di scrollarsi di dosso il torpore; non capiva di cosa stessero parlando i suoi rapitori, voleva solo uscire, e la sensazione di non poter muovere le mani e le gambe iniziò a farla star male. Tirò dei lunghi respiri ma il bavaglio le si infilò più a fondo in bocca facendola soffocare. “Forse non lo sai,” continuò la voce più anziana. ”Ma quando ho cominciato ero proprio al diciassettesimo!” Il giovane ridacchiò. “Ma dai? Non ci credo! Tu?” “Sì io! Anch’io dicevo le stesse cose quando entrai nell’organizzazione: li impallino, li ammazzo tutti! Mi eccitava l’idea della caccia; e quante volte mi sono immaginato di portarmi a casa la pellaccia di uno di quei diavoli. Una sera me ne sono trovato davanti uno. Sai cosa è successo?” chiese gravemente. “Dovevi fare lo scrittore.” Ironizzò il giovane tracannando dalla bottiglia. “E va bene. Cosa ti è successo?”

“Non lo so nemmeno io! Vorrei saperlo!” Esclamò. ”Ho visto quegli occhi nel buio del vicolo, ho puntato la pistola. Poi ho sentito uno spostamento d’aria e mi sono ritrovato a terra con un braccio rotto e due costole incrinate. Gli agenti che sono venuti in mio soccorso non si sono mai spiegati come mai sia ancora vivo. Da allora ringrazio Dio di essere un agente di terzo!” “Può darsi che abbia ragione tu.” Replicò il giovane con poca convinzione. “Io non mi accontento di essere un agente di terzo livello. Tanto in qualche modo bisogna pur crepare. Voglio andare sul campo e combattere! A dirti la verità non mi importa nulla dell’organizzazione e dei loro scopi. Sono tutte puttanate! Voglio stanare quei cosi e toglierli dalla faccia della terra!” “Lascia andare quella bottiglia, non sai quello che dici.” La piena coscienza della situazione esplose in Madeleine facendole impazzire il cuore e pulsare le tempie. Si contorse nel tentativo di cercare un punto dove fare leva con le gambe, spinse con le punte dei piedi ma non avanzò di un millimetro; senza accorgersene iniziò ad urlare. “Certo che il vecchiaccio ha fatto una bella botta, eh?” disse il giovane. “Già. L’hanno organizzata proprio bene.” “La nipotina aveva una faccia. Miodiomiodio.” Il giovane terminò la frase in falsetto. A quelle parole Madeleine si arrestò impietrita. Immagini, vivide e terribili, esplosero nella sua mente: vi era un viaggio in treno da Parigi, la visita a suo zio Hubert; una telefonata improvvisa, l’incidente d’auto... Aveva ricevuto la lettera un bigio mattino di ottobre mentre si trovava nel suo attico a Parigi. La morte improvvisa di suo padre l’aveva lasciata sgomenta e con un terribile senso di vuoto. Mise pochi abiti in un trolley e saltò sul primo treno per Hermitage-Lorge. Un viaggio piacevole che la aiutò a non pensare. Un viaggio fatto di attese in piccole stazioni, del rumore ritmico del vagone, e dei colori rudi della Bretagna.

Trovò il paese così come lo ricordava: poche case basse di grossolana pietra grigia, la chiesa dalle guglie gotiche, la foresta di larici e selci su una terra rossa sanguigna. Sotto un cielo cangiante di grigio e cenere aveva raggiunto a piedi il cascinale di suo zio; l’aveva incontrato, l’aveva abbracciato, avevano pianto. Il mattino seguente trovò sul frigorifero un biglietto scritto di fretta: Hubert doveva recarsi d’urgenza in paese per questioni personali, sarebbe tornato in mattinata. Si era preparata un caffè e mangiato un po’ di biscotti, rimanendo a ciondolare per la cucina in pigiama. Si era ripromessa di uscire e fare una bella passeggiata in campagna ma non riusciva a scrollarsi di dosso un mesto senso di spossatezza. Verso mezzogiorno ricevette una telefonata dalla polizia stradale che cercava dei parenti del signor Fournier, Hubert Fournier. Lei spiegò di essere sua nipote e di non avere un mezzo di trasporto; il gentilissimo agente di polizia si offrì di venirla a prendere. Doveva solo aspettare qualche minuto. Due poliziotti, un giovane allampanato con i capelli color formaggio e uno anziano, bonario e brizzolato, le si avvicinarono e le fecero alcune domande accompagnandola alla loro auto. L’auto di suo zio aveva sbandato sul sentiero che si inerpicava sulla collina, una scorciatoia le spiegarono. Aveva ruzzolato sull’erba smeraldo varie volte, schiantandosi contro i ruderi di una torre. L’auto era spezzata, sfracellata, e un’ ambulanza partì a sirene spente spartendo una piccola folla ammutolita. Madeleine gridò con tutto il fiato che aveva in corpo ma il bavaglio soffocò la sua voce. Con i sensi sovraeccitati e il fiato corto tentò spasmodicamente di alzarsi in piedi, ma riuscì solo a farsi male. Dall’abitacolo non giungeva altro che una musichetta disco anni ottanta, sintomo che la discussione era giunta a un punto morto. Strisciando riuscì a raggiungere la parete gelida del furgone e vi si appoggiò con la schiena; fece forza con le gambe torcendosi il collo fino quasi a spezzarlo. Riuscì a sollevarsi ma i piedi persero la presa e scivolò dolorosamente sbattendo la nuca; con un tonfo sordo atterrò sul pavimento che odorava di olio per motori e trucioli di ferro.

“Cos’è stato?” chiese la voce acuta. “Mi sa che la nostra ospite si è svegliata…” “Quanto manca al punto di incontro?” “Circa una mezz’ora. Perché?” “Accosta.” “Non fare cazzate con me!” “Dai. Voglio solo andare a vedere come sta. Magari ha bisogno d’aiuto.” “Non ha bisogno di quel genere di aiuto. Che diavolo fai?” gridò il vecchio. “Sei impazzito?” Il furgone frenò stridendo e il giovane biondo saltò giù. Madeleine finì sbattuta a terra. “Io salgo dietro.” Ordinò il giovane. “Le faccio compagnia per un po’ e poi torno. Non lo saprà nessuno.” “Marcel ascolta,” tentò l'anziano conciliante. “Non c’è bisogno di fare così va bene? Rimetti a posto la pistola. La missione è andata bene fino a questo punto, è quasi finita. L’organizzazione non tollera errori, lo sai.” “All’organizzazione non interessano i dettagli, mentre io adoro certi piccoli piaceri della vita.” Rispose spavaldo. “Appena chiudo, riparti e fatti gli affari tuoi!” Madeleine aveva il cuore impazzito e il cervello in fiamme; si rintanò in un angolo, per quanto le fu possibile, accoccolandosi e soffocando un pianto isterico. Udì dei passi veloci lungo la fiancata, e la risata a singhiozzio dell’uomo mentre apriva il portellone. Viveva quegli istanti scanditi dal tonfo del cuore nelle orecchie e trattenendo il fiato in un’apnea dolorosa. “Ciao Madeleine.” Bisbigliò il giovane. Lei tentò di gridare ma i polmoni si rifiutarono di assisterla. Attraverso la benda vedeva filtrare una luce giallognola. Il giovane appoggiò la torcia elettrica a terra. Madeleine si sentì afferrare per le spalle, si trovò stesa sulla schiena, cercò di scalciare ma le giunture le facevano male e la stretta dell’uomo era decisa.

Istintivamente smise di agitarsi irrigidendosi; la testa le girava vorticosamente, non distingueva le parole dell'uomo che le faceva proposte oscene. All'improvviso il furgone sbandò pericolosamente, con uno stridio acuto, rimettendosi in carreggiata incerto; l’uomo urtò sulla parete imprecando. Colpì più volte sul metallo. “Ci vuoi ammazzare imbecille?” gridò. “C’era un gatto in mezzo alla strada.” Rispose una voce atona e distante. “Ti sei addormentato, coglione. Senti che voce che hai. Vaffanculo i gatti. Il prossimo mettilo sotto!” L’autista non rispose. “Vedi di guidare dritto o vengo lì e ti ammazzo io,” biascicò appoggiato alla parete del furgone. “Vecchio rimbecillito.” Il portellone si aprì, l’uomo imprecò, poi uno schianto d’ossa e il tonfo di un corpo senza vita sul metallo. Madeleine gridava senza controllo, il terrore le colmava l’anima di una nube nera e densa. Immersa nella paura non udì subito la domanda che le venne posta. Una voce profonda la ripeté più volte pazientemente. “Madeleine. Mi senti? Come stai?” parlava un buon francese ma con uno spiccato accento dell’est. “Rispondimi per favore. Stai bene?” All’ennesima richiesta lei annuì lentamente, tremando. “Meno male.” Commentò con sollievo. “Ora ti tolgo i bavagli. Non ti ha fatto del male vero? Ora sei al sicuro.” La luce della torcia le irritò gli occhi, si toccò la bocca sporca di saliva rossiccia. Il volto ampio e luminoso dell’uomo la scrutava bonario ed un sorriso tranquillo fece capolino dalla folta barba rosso fuoco. Indossava un’assurda giacca color ocra, una camicia nera, ed una cravatta cremisi con i brillantini. Madeleine si sentiva svuotata ed incapace di reagire. “Andrà tutto bene.” Le sussurrò il gigante curvo su di lei. “Siamo venuti a salvarti.” Aveva gli occhi di un nocciola intenso e sembrava sincero; la aiutò a mettersi seduta. 

Madeleine ansimava forte, si massaggiò i polsi e le caviglie, e guardò oltre la mole imponente del suo salvatore. A terra giaceva il corpo di un giovane biondo, la testa innaturalmente rivolta verso l’alto. Madeleine distolse lo sguardo di scatto, in preda ad una nausea acidula, si chinò di lato e vomitò. Poi scoppiò in un pianto muto ed incontrollato. L'uomo dalla barba rossa attese con pazienza che si calmasse, lei si asciugò le lacrime con il dorso della mano. “Che sta succedendo? Chi sei?” chiese con voce strozzata. “Non preoccuparti ora. Noi siamo i buoni. E’ meglio se rimani qui dietro, non vorremmo che qualcuno ti vedesse. E poi con me in cabina non c’è più tanto posto.” Ironizzò. “Sei della polizia?” “No. Sono il tuo angelo custode.” Senza attendere oltre l’uomo si alzò, in piedi doveva stare con la testa piegata, si voltò e spalancò il portellone. Afferrò il cadavere del giovane per la collottola e lo lanciò fuori con facilità. Madeleine lanciò un grido d'orrore. La strada guizzava via veloce nella notte, il corpo rotolò scompostamente e si perse nel buio. Il gigante si spolverò le mani, poi afferrò dall’esterno il bordo del tettuccio e si issò con sorprendente facilità sul furgone. Si sporse a testa in giù, strizzò l’occhio in direzione di Madeleine e richiuse lo sportello con un pugno. Dopo pochissimo la sua voce giunse dall’abitacolo. “Visto? Nessun intoppo.” Esclamò soddisfatto. “Saltare dentro un furgone in corsa lo chiami nessun intoppo?” la voce dell’autista era di una calma fredda, irritante. “Non ho intenzione di prendermi tutta la responsabilità. Come potevo sapere dell’incidente?” “Avresti potuto evitare di correre dietro alle sottane ed eseguire un ordine semplice come “Seguila!'” Lo aggredì gelidamente. “Non l’ho persa di vista un attimo, Nero!” Il gigante si tratteneva dall'urlare. “Sono un professionista! Non potevo mica trascinarla via di fronte a tutta quella gente, avrebbe attirato l’attenzione.

In ogni caso siamo qui, lei sta bene, e siamo in orario.” “Smettila di chiamarmi Nero! Non mi piace.” Lo raggelò. “Anche tu eri sulle sue tracce Jacopo. Che fine hai fatto?” replicò il gigante. “Affari di famiglia.” E con questo pose fine alla discussione, il gigante imprecò in russo. Madeleine ascoltava quel dialogo con sentimenti contrastanti. La sua situazione era migliorata, indubbiamente, ma l’incubo in cui si sentiva sprofondare non aveva fine, né una logica. Dovette appoggiarsi alle pareti, nel tentativo di non cadere, poiché lo choc le dava sensazioni di leggerezza. Si avvicinò allo sportellino dell’abitacolo e bussò decisamente, comparvero gli occhi nocciola dell’uomo barbuto. “Parola d’ordine.” Disse e i suoi occhi sorrisero. “Dove mi state portando?” sbottò irritata. “Che cosa volete da me? Chi siete? Dovete lasciarmi andare! Non avete il diritto di portarmi da nessuna parte!” Madeleine li aggredì senza ritegno. “Siamo qui per proteggerti Madeleine, calmati.” Rispose l’uomo dalla barba rossa. “Io sono Vladimir, e lui è Jacopo.” “Tanto piacere! Chi cazzo siete?” Madeleine alzò la voce. “E' meglio che tu non lo sappia.” Rispose Jacopo più distante che mai. “Ma che risposta del cazzo! Mi potete almeno dire chi mi ha rapita e perché? Non sono ricca!” Madeleine afferrò lo sportelletto con entrambe le mani quasi a volerlo staccare. Vladimir cercò l'approvazione di Jacopo con lo sguardo, ma questi non si voltò. “Sei stata rapita da un’organizzazione multinazionale di ricerca genetica. Non ha un nome specifico perché ufficialmente non esiste.” “Dovrà bastarle.” Ordinò Jacopo interrompendo il suo compagno. “No che non mi basta!” Gridò Madeleine. Tutta la tensione di quei momenti esplose in un grido isterico ed acuto che risuonò nell’abitacolo. “Sono stata rapita e quasi violentata! Ho il diritto di sapere da chi! Voglio andare alla polizia. Devo denunciarli, devo farli arrestare tutti!”

Per nulla impressionato da quel comprensibile sfogo, Jacopo lanciò un’occhiata infuocata a Vladimir, e si barricò in un indifferente silenzio finché Madeleine non si fu calmata. ”Mi dispiace per quello che ti è accaduto.” Disse alla fine. “Siamo arrivati un po’ troppo tardi. Ora non è il momento delle spiegazioni perché siamo quasi al punto di incontro e dobbiamo fare in fretta. Saprai tutto quello che c’è da sapere fra poco.” “Voglio delle spiegazioni e le voglio adesso! Non avete il diritto di tenermi qui dietro! Fatemi scendere!” Gridò. Jacopo arrestò il furgone di scatto gettandosi di lato. “Quand’è così. Esci.“ Ordinò con la sua pacatezza fastidiosa. Madeleine ammutolì, fissò il riquadro nero della notte oltre il parabrezza del furgone; riusciva a malapena a scorgere l’orizzonte liscio dell’oceano. Inspirò più volte. “Esci.” Incalzò Jacopo. “Il portellone è aperto.” "Non possiamo lasciarla qui.” Vladimir era molto serio ora. “Se non vuole seguirci non possiamo costringerla. Noi non siamo rapitori.” “Madeleine, sii ragionevole per favore.” Vladimir le sorrise. “Ha ragione non trovi? Se volevamo farti del male ti avremmo tenuta legata. Corri un grave pericolo e siamo qui per aiutarti. Fidati di noi, almeno per un po’.” Madeleine teneva gli occhi fissi verso il telo color carbone della notte. Annuì mordendosi il labbro inferiore. Il furgone ripartì.

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LA VOCE DI NERO di Valentino Eugeni - Editore Monte Covello - Primo Fiore -

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Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.

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