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" MISTERO AL LAGO DI STAZ " di Ettore Comi

Un' imprevista telefonata carica di interrogativi e ben presto mi sono trovato su un treno che mi avrebbe portato tra le montagne della Svizzera. Io, Luigi Delle Valli, che cosa avrei trovato ad attendermi?

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BIOGRAFIA AUTORE

Hector Comisky, nome d’arte di Ettore Comi, opera attivamente da anni nel settore fotografico e cinematografico. Nato a Chiesa Valmalenco nel 1960, nel 1991 segue dei corsi d’arte drammatica presso il Centro Teatro Attivo di Milano ed inizia l’attività come attore di teatro e televisione. Si trasferisce poco dopo a Roma dove debutta nel cinema con il film “Demonia” di Lucio Fulci nel ruolo di coprotagonista ed in seguito viene scritturato come attore protagonista e direttore artistico del film “Slaum baby” di Paul Stany. Contemporaneamente segue dei corsi di regia e di fotografia. Nel 1994, in qualità di autore-regista, gira il cortometraggio “Il giorno di Mary”. Ancora come attore è protagonista di vari spot pubblicitari. Nel 1995, in qualità di autore-regista, gira il cortometraggio “Una notte a marzo”, partecipando al festival di Capalbio. Da sempre appassionato di scrittura, scrive il suo primo “racconto cinematografico” e in seguito romanzo ancora in giovane età, rimasto nel cassetto a favore del cinema e della fotografia che dal 1998 segue più attivamente, realizzando servizi pubblicati su varie riviste e copertine di dischi-videoclip ecc…
Ha scritto assieme a Lucio Battistrada (docente al centro sperimentale di cinematografia di Roma) la sceneggiatura del film “La coda della cometa”, da un’idea propria. Ha diverse collaborazioni in veste di sceneggiatore e film minori, tra cui un nastro d’argento; spot pubblicitari e documentari per festival della montagna. Nel mese di maggio 2003 presso il “Ragno d’oro” di Milano ottiene grandi consensi la sua mostra fotografica, dal titolo “i ritratti”. Riprende con vigore la sua attività di scrittore e sceneggiatore; tuttora ha in preparazione il film da lui scritto e di cui è regista “Alba a Milano”. Nel 2010 esce il romanzo “Al di là della notte”, risultato finalista al concorso letterario internazionale “Insieme nel Mondo”.

PRESENTAZIONE

Caro Lettore,
“Mistero al lago di Staz” è una storia intensa e scorrevole, piena di sentimento e di azione.
Il lettore si stacca dalla realtà, immergendosi negli splendidi scenari descritti ( il paesaggio fiabesco, la casa misteriosa…)
L’interesse riguardo le indagini del protagonista, Luigi Delle Valli, docente di criminologia, è sempre alto.  Indagini che avranno inizio in seguito ad un invito, rivolto proprio a Luigi, ricevuto da una giovane e avvenente studentessa, Rossana, conosciuta durante una lezione all’Ateneo. Invito a trascorrere un week-end in Engadina, a Pontresina, in occasione di una sentita manifestazione folkloristica: la “Schlitteda”. Luigi accetterà l’inaspettata convocazione e una volta arrivato, dopo aver attraversato gli affascinanti paesaggi delle Alpi Svizzere, a bordo di un trenino rosso che si inerpicava fiero, non troverà ad attenderlo la ragazza, bensì un uomo in livrea che lo accompagnerà in un grande albergo. Ma neppure là, di Rossana, non vi sarà traccia. Dove mai sarà finita? Allora perché invitarmi? E’ stata forse rapita? Saranno le sue immediate domande.
Comincerà così la ricerca della misteriosa studentessa, che lo condurrà tra misteri di tempi passati e realtà fatta di imbrogli e ricatti, per contendersi un’eredità multimilionaria.
Nel romanzo, l’analisi della verità sulla scomparsa di Rossana passa attraverso scoperte inaspettate (il quadro d’epoca del pittore Segantini e la lettera) e personaggi variegati (l’uomo vestito di scuro, Anna “la strega”, ecc…) mantenendo vivo l’interesse per l’epilogo. Inoltre, la relazione di stima e di grande affetto tra il protagonista e Adele, conferisce un giusto tocco di romanticismo alle dinamiche noir dell’elaborato. Lo stile è chiaro e lineare, e altrettanto l’efficacia dei dialoghi nei loro passaggi.

Buona Lettura…

MISTERO AL LAGO DI STAZ

L'ultima Regina dell'Engadina

PROLOGO

Caro amore mio,

sono passati solo pochi giorni dal nostro ultimo incontro e da quell’invito che mi ha permesso di conoscerti, e già mi manchi. Un biglietto d’invito, passato quasi inosservato.
Una imprevista telefonata carica di interrogativi e ben presto mi sono trovato su un treno che mi avrebbe portato tra le montagne della Svizzera. Io, Luigi Delle Valli, docente di criminologia presso l’Università di Milano, dapprima perplesso, avevo poi deciso di andarci.
Che cosa avrei trovato ad attendermi? Una bella studentessa come pensavo? Un paesaggio incantato nella rinomata Engadina?

Come potrei, dopo tutto quello che abbiamo condiviso, stare senza di te e quel paesaggio da favola?
Ora sono impegnato negli esami ed ogni studente che ho di fronte mi ricorda lei, Rossana e la nostra avventura…
La malinconia mi pervade quando ti vedo con gli occhi della mia mente eppure so che presto ci rivedremo e non ci lasceremo più.
Ah, dimenticavo! Stavo pensando di accettare quell’incarico come investigatore presso il corpo della polizia di stato, già propostomi alcuni mesi fa. Chissà…

Con immenso amore
Luigi Delle Valli

I Capitolo

Faceva molto freddo a Milano, quella sera di gennaio, ma io volli lo stesso, rientrando a casa, fermarmi sull’androne a guardare il cielo e le stelle. Le stelle di gennaio, da sempre le più luminose e, con esse, indugiai a riflettere sui tanti misteri che l’universo reca con sé.
«Buonasera, professore!» mi distolse la voce del portiere che, puntuale, stava chiudendo il cancello.
«Non l’ho vista tutto il giorno» disse.
«E’ vero. Sa, sono stato molto preso in Università.»
«Capisco. C’è una lettera per lei» disse e me la porse.
«Grazie.»
Distrattamente la guardai e, salendo in ascensore, vidi che si trattava di un invito. Magari uno dei tanti, pensai, che riguardavano le solite conferenze. Non era così. L’invito parlava di una manifestazione folkloristica. In quell’istante, però, non avevo tempo per pensare oltre, il sonno era troppo prepotente e mi prese con sé.

***

«Pronto Luigi?» chiese, al telefono, quella voce dal forte accento teutonico che mi fece sorridere.
«Si» risposi.
«Mi hai riconosciuta?»
«Come non potrei? Hai un accento unico, inconfondibile. Rossana, vero?»
«Eh sì» rispose lei con un velo d’imbarazzo. «Ti ho svegliato, forse?»
«No. Per niente.»
«Ti chiamavo per invitarti.»
«Invitarmi?» chiesi stupito. «Invitarmi dove?»
«In Svizzera.»
«In Svizzera?»
«Sì. Lo sai che sono di qua?»
«No» dissi. «Non lo sapevo. Mi dicevi di un invito.»
«Sì, certo. Non hai letto il biglietto?»
«Il biglietto? Quale biglietto?»
«Il biglietto d’invito. Dovrebbe esserti arrivato.»
Ci pensai un istante.
«Ah già» dissi. «E’ vero. Scusa ma ieri, al mio rientro, ero così stanco che non ci ho badato. E dove sarei invitato?»
«In Svizzera» ripeté lei.
«Sì, quello l’ho capito. In quale parte della Svizzera?»
«A Pontresina, in Engadina. Io vengo proprio da là. Un posto bellissimo.»
«Ne ho sentito parlare.»
«Lo spero bene. Ci sei mai stato?»
«No. Purtroppo no.»
«E cosa aspetti? E’ l’occasione giusta. Dai, preparati che ti attendo.»
«Come mi attendi? E quando?»
«Oggi. Stasera.»
«Stasera?» chiesi allibito. «Vuoi scherzare?»
«Assolutamente no.»
«E poi per cosa sarei invitato, dimmi…»
«A una festa. Non hai letto sull’invito?»
«No. Te l’ho appena detto. Ero molto stanco ieri sera e non ci ho badato.»
«Va beh, comunque è una festa, una manifestazione che fa parte della nostra tradizione, “La fiaba di Staz”:  la chiamiamo così, anche
se per noi è più di una festa. E’ una sfilata in costume d’epoca, con le slitte, cavalli e i cavalieri, poi si va tutti a far festa al lago di Staz, che è qui in Engadina, tra Saint Moritz e Pontresina: se dai un’occhiata all’invito, troverai tutte le informazioni. Puoi anche guardare su internet e leggere ciò che ti pare.»
«Lo farò.»
«Poi voglio anche che tu sia il mio cavaliere.»
«Il tuo che?»
«Il mio cavaliere!»
«In che senso?»
«Fa parte della tradizione ma leggerai pure quello. Ora fa in fretta che ti aspetto.»
«Mah… non lo so, dovrei…»
«Oh Dio, quanto sei lento! Dovrei cosa?»
«Dovrei pensarci.»
«E pensare a cosa?»
«Beh, effettivamente hai ragione. Pensare a cosa? In fin dei conti sarebbe anche un’occasione per visitare quei luoghi.»
Il silenzio cadde di nuovo. Il mio pensiero era corso attraverso il telefono.
«Che cosa aspetti a dirmi di sì?» disse energica. «Prepara una valigia con dentro due cose ed è fatta!»
«Dovrò prenotare un albergo…»
«Per questo non devi preoccuparti.»
«E perché?»
«Se permetti, ho pensato di ospitarti. Ho un amico che ha un albergo e ti riserverà una stanza.»
«No, non se ne parla proprio. Non posso accettarlo.»
«Perché?»
«Non mi sembra il caso.»
«Oh, come sei all’antica!»
Ci pensai un istante.
«Va bene!» esclamai. «E come faccio a venire fin là?»
«In treno.»
«In treno?» chiesi stupito. «Fin lassù?»
«Certo! Il trenino rosso del Bernina, quel treno che arriva così in
alto, in mezzo alle montagne. È conosciutissimo ed è diventato
persino patrimonio dell’Unesco, tanta è la sua particolarità.»
«E’ vero, ricordo di avere letto qualcosa. È quello che arriva fino a duemila metri e oltre, dico bene?»
«Esatto!»
«E dove lo si prende?»
«A Tirano. Una cittadina, vicina al confine.»
«Bene. E ad arrivare a Tirano, come faccio?»
«Dalla stazione centrale, devi prendere il treno per Sondrio-Tirano e una volta lì, chiedi il treno per Saint Moritz. Lo vedrai subito, al binario accanto, è un treno rosso fiammante e non passa inosservato. Se ti sbrighi, fai in tempo a prendere quello di mezzogiorno. Sono tutti in coincidenza ed entro sera sei da me! Ciao.»
«Ma…» accennai, sorpreso da tanto entusiasmo.
«Ah, dimenticavo» mi anticipò. «Copriti bene perché qui fa ancora molto freddo!» esclamò.
Chiuse la comunicazione senza lasciarmi il tempo per dire altro ed io pensai alla sua determinazione. Pensai anche a che cosa potesse averla spinta ad invitarmi. Mi desiderava? O forse il suo era solo un interesse legato ai suoi corsi? Me lo sarei chiesto in seguito. Ora pensavo unicamente alla sua bellezza e all’idea di trascorrere il fine settimana in un posto a me sconosciuto, anziché rifugiarmi nella grigia monotonia del sabato milanese.
Qualche minuto dopo, la mia valigia era pronta e la metropolitana mi stava portando alla stazione dove, al volo, riuscii a salire sulla carrozza del treno per Sondrio-Tirano. Una volta seduto, presi fiato, mi rilassai un istante e presi a sfogliare quei depliants da poco stampati, assieme al mio biglietto d’invito, che parlavano della mia prossima meta: Pontresina. Un inserto era intitolato:
“Il mistero del lago dorato - Staz mistery - Un’antica tradizione dell’Engadina”.
Mi misi a leggere con attenzione, attratto da quel titolo che mi ricordava tanto il volto dell’amica, che avevo sentito da poco e che avrei rivisto in serata. Il treno, ora, correva veloce.
“Una variopinta sfilata di scapoli in uno scenario da sogno. È quello
che da secoli ha luogo in una delle regioni alpine più suggestive:
l’Engadina.
Una vera e proprio tradizione locale che viene rigorosamente celebrata ogni anno nel mese di gennaio, quando il termometro raggiunge temperature da brivido. Infatti, nella “Fiaba di Staz”, percorriamo in lungo e in largo i boschi che separano Pontresina dalla piana di Saint Moritz. Per la precisione, la nostra attenzione si concentra sul lago di Staz, che rappresenta in perfetta sintesi la bellezza della zona. Basta dunque raggiungere la località a tempo debito per assistere, imbacuccati a dovere, alla cosiddetta “Schlitteda”, un corteo di slitte che sposta letteralmente indietro la freccia del tempo. A guidarlo è un cavaliere con un cappello a tre punte, mentre su ogni slitta c’è un giovane in costume tradizionale, stile rococò, con un cilindro in testa e affiancato da una damigella vestita di rosso. Un tempo erano le ragazze in età da marito che venivano invitate dai giovanotti, ancora scapoli, a questa suggestiva passeggiata e, almeno in parte, ancora oggi è così. Inutile aggiungere che la sfilata si tiene con qualsiasi condizione atmosferica attraverso i villaggi e le pinete imbiancate. Unico conforto, le soste nelle locande, per rifocillarsi e scaldarsi con un buon bicchiere di vin brulé. Sfondo ideale: il lago di Staz, che rappresenta un passaggio obbligato per questo originale corteo tra Pontresina e Saint Moritz, in sostanza un luogo tra i più significativi e intatti dal punto di vista paesaggistico. Niente motori, strade asfaltate o piloni della luce. Un paradiso per tutti coloro, sportivi o semplici turisti, che vorranno apprezzare fino in fondo la bellezza del paesaggio alpino. Il consiglio, per osservare al meglio il lago e la processione, è quello di raggiungere il Piz Muragl, tramite la storica cremagliera che parte nei pressi di Pontresina. In questo caso è d’obbligo una sosta presso il rifugio Segantini, dove l’artista morì nel settembre del 1899, mentre dipingeva l’amato panorama engadinese. Pare infatti che, in punto di morte, abbia esclamato: «Voglio vedere le mie montagne!»
Ovviamente basta lanciare uno sguardo intorno per capirne la ragione.”
Il treno correva sempre più veloce e, in breve, raggiunse Tirano, ultimo caposaldo in terra italiana. Appena sceso, guardai in alto e vidi lassù, in cima, l’imponenza di quelle splendide montagne. Non vedevo l’ora di esservi più vicino. Un treno lindo, rosso fiammante, era davanti a me, pronto ad accogliermi per portarmi in quel luogo.
«Scusi» mi affrettai allora a chiedere ad un addetto che vidi in fondo al binario.
«Dica» rispose lui, girandosi verso di me.
Indossava una divisa che segnalava la sua appartenenza alle ferrovie, mentre sul petto portava appuntata una bandiera svizzera.
«Mi scusi, dovrei andare a Pontresina. È questo il treno?»
«Sì!» esclamò lui con un sorriso.
«Dove posso fare il biglietto?»
L’uomo alzò un braccio e mi indicò l’ufficio.
«Proprio laggiù, in fondo al binario.»
«Grazie.»
«Per la Svizzera dovrà fare anche un controllo doganale, lo sa?»
«Immagino.»
Entrato nella biglietteria, mi guardai attorno con curiosità. C’era una strana aria. Un’aria di pulito e di ordine. Mi avvicinai allo sportello e, poco dopo, uscii con il biglietto in tasca e la gioia per quanto avrei visitato in quei giorni. Mi era bastato guardare le locandine appese nel locale della biglietteria per considerare oltremodo magnifici quei luoghi. Il trenino si mosse in direzione della Svizzera e lo fece in silenzio, senza il classico fischio. Eppure avevo visto il capostazione, con in testa un cappello rosso, alzare la paletta. Non mi chiesi il perché ma tutto ciò, già da quel momento, mi faceva sentire in una dimensione surreale. Affascinato, osservavo con stupore la meraviglia appena apparsa, un Santuario, tanto da suscitare la curiosità di un viaggiatore, seduto di fronte a me che, con discrezione, chiese:
«Bello, vero?»
«Sì, molto» risposi sorridendo.
«E’ il Santuario della Madonna di Tirano!» esclamò.
«Un luogo di devozione importante, suppongo.»
«Certamente, in particolare per la gente di qui. Ma lei è la prima volta che viene da queste parti?»
«Sì.»
«E dove va?»
«A Pontresina. Mi ha invitato un’amica.»
«Ah sì? Vedrà allora quante cose belle avrà modo di scoprire da quelle parti!» esclamò.
«Non ho alcun dubbio. Ho letto proprio stamattina qualcosa in proposito. Mi sono documentato, in previsione di questo viaggio, sa, per non fare una figuraccia con l’amica che mi aspetta.»
«E ha fatto bene, perché da queste parti le meraviglie sono proprio tante.»
«Noto. E ne ho appena avuto un assaggio» dissi indicando l’imponente chiesa. «Mi diceva che è un Santuario dedicato alla Madonna.»
«Esattamente, fu costruito proprio in onore dell’apparizione della
Vergine ad un uomo del posto, qualche secolo or sono.»
«Interessante» osservai. «Inoltre, messo là in mezzo, sembra quasi che sia lì per vigilare.»
«Infatti, è stato edificato anche per quel motivo, oltre che come segno di ringraziamento, in quanto un tempo questo era un luogo strategico per la sua vicinanza con la Svizzera e, di conseguenza, con il protestantesimo, che allora andava sempre più diffondendosi.»
«E così rassicurare la gente che arrivava in valle.»
«Già, indipendentemente da dove essa veniva, come supremo simbolo di fede.»
«Ha proprio ragione, signore.»
Lui mi ringraziò con un sorriso.
«Noto che lei è un grande osservatore» disse.
«In effetti, l’arte mi appassiona molto.»
«La capisco e dovrebbe essere così per tutti, invece la gente spesso
non la considera quasi più. Ora ha un’altra arte a cui pensare: l’arte
di fare i “danéé”!»
«Di fare che?»
«Non ha capito? L’ho detto in un dialetto molto stretto: l’arte di fare i “danéé”, cioè i soldi!»
«Capisco e, purtroppo, è così. E’ sempre stato così…»
«Questo è vero» disse. «Certo con meno accanimento.»
«Le do ragione. Stiamo superando ogni limite.»
«Già…» sussurrò lui riflessivo. «Speriamo solo che un giorno tutti si ricrederanno.»
«Speriamo» dissi io.
Mi girai, quasi volessi rivolgere un saluto a quell’antica opera d’arte e vidi che la coda del treno sembrava quasi infrangersi contro quello scoglio roccioso, testimone di una fede arcaica. Guardai tutto ciò con stupore.
«Ecco, abbiamo superato il confine» disse il mio, ormai, compagno
di viaggio.
«Di già?»
«Non se n’é accorto, vero?»
«No!» esclamai, sorridendo.
«Infatti, dal treno non si vede nulla. La dogana è là sotto, tra quelle rocce.»
Mi affacciai al finestrino e, difatti, non vidi nulla.
«Mi sembra che stiamo salendo.»
«Trova?» chiese lui, accennando un sorriso. «Vedrà tra un po’!»
«Davvero?»
«Eccome! Tenga conto che il punto più alto, il passo del Bernina, è a 2200 metri.»
«E’ vero. Ricordo di averlo letto.»
«Quindi si immagini! Una volta su, c’è proprio da rimanere sbalorditi.»
«Non vedo l’ora!» risposi entusiasta.
«Ma si goda anche il resto. La linea ferroviaria del Bernina è
un’opera unica, tra le più ardite e ammirate del mondo, un
capolavoro di ingegneria, inaugurato nel lontano 1917…»
«Ci credo» dissi.
E nel frattempo sbirciavo il dépliant che tenevo tra le mani. Mi
seccava farmi vedere così impreparato.
«Si figuri che sono riusciti a portarla a termine con i mezzi di allora!
Pensi che impegno e quanti sacrifici per tutti quelli che vi hanno
lavorato.»
«Gente da ammirare.»
«Assolutamente. E ora guardi che meraviglia!» esclamò indicando fuori.
Sgranai gli occhi dallo stupore. Improvvisamente vidi, davanti a me, la testa del treno che ci affiancava.
Scossi il capo.
«Impressionante, vero?» disse lui.
«Accidenti!» risposi con la fronte appiccicata al vetro.
Sembrava che il locomotore si fosse voltato verso di noi per avvolgerci in un impetuoso abbraccio.
«Un ponte elicoidale!» esclamò lui.
Non risposi e mi voltai all’indietro. Ora gli ultimi vagoni sembravano staccarsi da noi e abbandonarci con un saluto.
«Strabiliante, vero?» disse lui, notando il mio stupore. «Sa a cosa serve?»
«No.»
«Serve per guadagnare quota.»
E, poco dopo, raggiungemmo un lago dai riflessi color verde ghiaccio.
«Questo è il lago di Poschiavo» disse. « Là in fondo c’è l’omonimo paese dove il treno farà una breve sosta e io ne approfitterò per fumarmi una sigaretta, amico mio» disse, ancora, sorridendomi buffo.
Mi era simpatico quel signore a cui mi stavo affezionando, che andava così fiero di tutto ciò che descriveva.
«Ecco, ripartiamo!» esclamò, mentre rientrava in carrozza,
conservando il gusto dell’ultima boccata. «Ora cominciamo a fare sul
serio!»
«In che senso?»
«Vedrà da sé!» esclamò, poi non disse più nulla.
Il treno cominciò a salire sempre di più. Guardavo in alto, poi in
basso e i miei occhi, stupefatti, si posavano su ogni dettaglio di quella armonia. Entrammo in una galleria a spirale e, all’uscita, un’esplosione di luce mi portò in una vertigine di tornanti e di boschi che non mi lasciò più, finché non giungemmo ad una stazione che pareva sospesa nel cielo. Alpe Cavaglia, lessi.
Pensai al freddo che faceva fuori, mentre il treno andava ancora più in su, sino a fermarsi a ridosso di un precipizio. I miei occhi, increduli, guardarono verso il basso. La valle, laggiù in fondo, sembrava già lontana.
«Accidenti, ma dov’è la cima?» chiesi al mio amico, che mi guardava e rideva. Sembrava quasi che mi prendesse in giro, per la mia infantile curiosità, però sapevo che non era così e lo faceva solo per simpatia.
«Tra poco ci arriveremo» disse.
«Chissà quanta neve lassù!»
«No, è nevicato poco quest’anno.»
«Davvero?»
«Sì, un evento raro da queste parti.»
«Peccato» dissi. «Leggo qui che la linea è in funzione per tutto l’anno. Come fanno se nevica così tanto?»
«Usano uno spazzaneve con una turbina potentissima. Una vecchia macchina a vapore, una macchina d’altri tempi, ancora efficacissima. Forse la vedrà ferma in un binario a ridosso della stazione più alta, al passo del Bernina.»
«Eccola là!» esclamai, quando la vidi al margine della stazione.
Quella strana macchina funzionava ancora a vapore! Stentavo a crederci. Vicino a noi, un delicato lago, circondato da ghiacci, lasciava intravedere le sue acque, ora bianche, ora nere.
«Eccomi, io sono arrivato» disse il mio amico.
«Come arrivato?» chiesi con stupore. Per un istante, temetti di
rimanere solo.
«Sì e tra poco dovrò ancora scendere a valle.»
«Di nuovo?»
Lui annuì con un cenno del capo.
«E perché?» chiesi, allora.
Mi guardò e il suo viso rugoso si allargò in un sorriso fiero.
«Perché io lo guido questo treno!» esclamò.
Mi affacciai al finestrino per salutarlo ancora.
Le sferzate di vento gelido soffiavano forte sul mio viso. Ora il convoglio aveva ripreso a scendere. Una manciata di minuti, così mi aveva detto il mio compagno di viaggio, e sarei arrivato. Tra le mani reggevo ancora il biglietto di invito che diceva: Schlitteda di Pontresina – 28 gennaio 2011- ti aspetto, Rossana.
L’avevo vista una volta sola, Rossana, e adesso sentivo salire l’eccitazione. Non vedevo l’ora di rivederla.

II Capitolo

A Pontresina, sceso dal treno, non finivo di guardare le bellezze attorno a me, anche se il mio sguardo trepidava, ora, nell’attesa di rivedere l’amica Rossana. Mi guardai attorno di continuo però non vidi nessuno, a parte qualche turista imbacuccato che scendeva dai vagoni e si guardava intorno, estasiato come me, per poi rivolgersi a chi, sul marciapiede, lo stava aspettando. Guardai allora l’orologio appeso alla pensilina e poi il mio da polso. Pensai subito che fosse in ritardo. Solo un istante dopo mi sentii chiamare. Mi girai di scatto, con un sorriso stampato sulla bocca. Il sorriso si spense subito, quando vidi che non era lei, ma un uomo, alto e magro, vestito con una livrea scura che portava scritto, ricamato con un filo dorato, il nome di un hotel. L’uomo venne verso di me e mi guardò, chiamandomi ancora.

«È lei, Luigi Delle Valli?» disse, con un marcato accento locale.
«Sì» risposi. «Sono io.»
«Buonasera, signore. Benvenuto.»
«Buonasera a lei» risposi con educazione. Trattenni per me il forte stupore. Lui mi guardò e sorrise cordiale.
«Mi hanno incaricato di venire a prenderla» disse.
Lo guardai, non riuscendo a capire.
«Incaricato… e da chi?»
«Dall’hotel, signore» rispose l’uomo con una flemma impassibile.
«Quale hotel?»
«Mah» accennò. «L’hotel dove soggiornerà. Quello per cui lavoro, signore.»
Lo guardai un istante, poi gli sorrisi.
«Ah, sì» dissi.
«Rammenta?»
«Sì, scusi, ha ragione!» esclamai.
«Se vuole seguirmi, signore» disse lui.
«Certo…eccomi.»
«Ha bagagli con sé?»
Guardai la piccola borsa che avevo sottobraccio, poi scossi la testa. E alzai le spalle.
«Solo questa.»
Lui mi guardò e sorrise.
«Possiamo andare, allora» disse.
Fuori dalla stazione c’era un pullmino nero con la scritta dorata del Grand Hotel. Anche qui non c’era molta neve.
«Ho visto che ha nevicato poco quest’anno.»
«Sì, in effetti è un anno strano. È raro vederne così poca da queste parti.»
«Peccato. Penso che il paesaggio innevato sia ancora più bello di quanto lo sia già.»
«In effetti…»
«Credo che la neve gli faccia assumere un aspetto fiabesco, persino incantato.»
«Sono d’accordo con lei. Non è mai stato qui, vero?»
«No!» esclamai. «E’ la prima volta.»
«E le piace?»
«Per quanto ho visto finora, non ho parole: è stupendo!»
«Allora, adesso che conosce il posto, avrà modo di tornarci.»
«Lo spero proprio. Per ora cercherò di godermi questo breve soggiorno.»
«E’ venuto per vedere la Schlitteda?»
«Per che cosa?»
«La Schlitteda, la festa di sabato! Vengono da ogni parte della Svizzera e anche dall’estero ad assistervi, così ho pensato che anche lei...»
«Ah sì, forse. Almeno credo» risposi dubbioso.
Lui lo notò e chiese:
«In che senso, mi scusi?»
«Che un’amica mi ha invitato proprio per questo.»
«Ho capito. Una signora del posto?» chiese con rispetto.
«Sì, penso di sì, anzi ne sono certo: è una ragazza. Una gran bella ragazza!» esclamai, accennando un sorriso soddisfatto.
«Fortunato» disse lui e allo specchietto accennò un sorriso.
«Già. E doveva venire lei a prendermi alla stazione ma non capisco come mai non l’abbia vista.»
«Lei… la ragazza?»
«Proprio.»
«Eravate d’accordo?»
«Eh sì.»
«Avrà avuto altri impegni.»
«Immagino di sì. Certamente mi aspetterà in albergo. Lei l’ha vista all’hotel?»
«No, signore» disse. «Cioè, non so… almeno non credo.»
«Cosa intende?» chiesi con apprensione.
«Non la conosco, quindi non posso sapere se fosse o no in albergo.»
«Ha ragione, mi scusi.»
«Si figuri.»
«Come ha fatto allora a sapere che sarei arrivato proprio con quel treno?»
«È stata la direzione dell’albergo. Mi ha chiesto di venire a quest’ora a prenderla alla stazione. E’ nostro dovere farlo per i clienti.»
«Capisco» dissi.
E poi, con lo sguardo entusiasta, ammiravo le bellezze che ci circondavano.
«Bello, vero?»
«Moltissimo.»
«Se la goda, allora.»
«Ce la metterò tutta!» dissi con eccitazione.
E ora pensavo alla bella donna che mi aspettava e che mi avrebbe fatto passare un fine settimana meraviglioso.
«Ecco, signore, quello è il suo hotel» disse, poco dopo, lo chauffeur.
«Quello?»
«Certo, signore.»
Guardai quella meraviglia davanti a me e rimasi incantato. Era una struttura della bella epoque e mi ricordava tanto i castelli delle fiabe antiche; il mio sguardo non si staccava da essa.
«È molto bello!» esclamai.
«Sono contento che le piaccia» disse lui.
Il veicolo entrò in un grande cortile, dove una fontana di marmo svettava al centro, con le sue cascate ghiacciate che la abbracciavano con vigore. Una cupola dorata dominava su di noi. La macchina si era fermata proprio lì e, dopo che lo zelante autista mi aveva aperto la portiera, un fattorino corse da me, chinandosi con riguardo.
«Signore» disse.
Per un istante pensai dove fossi finito.
«Grazie, giovanotto!» esclamai, dandomi un tono.
Insieme alla valigia, gli diedi anche qualche soldo di mancia.
Lui mi ringraziò con un sorriso.
«Buonasera, signor Delle Valli e benvenuto!» esclamò l’uomo della reception, mostrando un sorriso cordiale.
«Buonasera a lei» dissi timido, mentre il mio sguardo si posava con stupore sulla magnificenza di quella grande sala in cui, al centro, un fastoso lampadario di cristallo faceva scivolare i suoi petali scintillanti fino a sfiorare gli ospiti di riguardo. Più in là, una porta di legno a intarsi  si apriva su una sala di conversazione, dentro la quale c’era un camino dove ardeva un fuoco discreto. Accanto, il salone da pranzo mi parve interminabile.
«Buonasera» dissi di nuovo, con più tono e cercando di nascondere in ogni modo l’imbarazzo che cresceva dentro di me, anche se non mi sentivo a disagio. Non ero abituato a posti così lussuosi ma la mia educazione e il mio buon gusto mi permettevano di trascendere da questo, nonostante fossi rimasto colpito da quella vera ostentazione ormai fuori dal tempo. Pensai subito a Rossana, che mi aveva invitato lì e alla sua generosità. Lei dov’era ora? La cercai con apprensione, muovendo lo sguardo ovunque, finché mi rivolsi all’uomo di fronte a me.
«Mi scusi.»
«Prego, signore, dica.»
«Stavo cercando una ragazza, che dovrebbe essere qui ad attendermi. Per caso lei non ne sa niente?»
L’uomo mi guardò con aria impassibile però si intravedeva la sua sorpresa.
«No, per niente. Se vuole provi a parlarne con il direttore, certamente saprà accontentarla.»
Fui preso dal panico, pensando dove potesse essere Rossana. In fin dei conti, poteva aver avuto un contrattempo. Presto mi avrebbe telefonato e sarebbe corsa lì. Ero ancora assorto nei miei pensieri, quando mi si avvicinò un signore distinto, vestito di tutto punto, che mi porse la mano con garbo.
«Buonasera, signor Delle Valli!»
Io lo guardai con sorpresa. Sembrava che tutti fossero lì a darmi del signore ma non riuscivo ancora a capire nulla, salvo la provata educazione e la cortesia dei grandi alberghi.
«Sono il direttore dell’albergo» disse. «Posso esserle utile?»
«Sì, certo» risposi, sorridendo. «Cioè, no, scusi, volevo dire, non lo so. Forse…»
Il signore mi guardò comprensivo. Aveva capito il mio imbarazzo e, da serio professionista, mi stava offrendo una mano.
«Mi dica lo stesso, vedrò di fare il possibile.»
«D’accordo. È che…io stavo cercando un’amica.»
«Alloggia qui?»
«Credo di sì però non ne sono sicuro. Anzi, credo di no.»
Il direttore mi guardò perplesso, cercando in tutti i modi di nascondere il suo disorientamento.
«Se mi dice il suo nome, possiamo provare a cercarla.»
Ebbi un istante di esitazione. E pensai che forse stavo creando solo confusione.
«Ma no, non si disturbi!» dissi.
«Nessun disturbo, signore.»
«L’aspetterò qui e, vedrà, sono certo che si farà sentire al più presto.»
«Come desidera.»
«Anche se mi sembra strano…» sussurrai con un’alzata di spalle.
«Beh! Un semplice malinteso mi sembra normale.»
«Eh, mica tanto!» risposi.
Mi guardò con un’espressione dubbia.
«Cosa intende?»
«Niente. Volevo solo dire che non avendola trovata alla stazione, ero certo fosse qui, e invece…»
Lui annuiva.
«Perché è stata lei ad invitarmi qui, a Pontresina, mi capisce?» dissi confuso. «Vuole vedere l’invito?»
Lo vidi di nuovo imbarazzato e mi accorsi che stavo andando oltre.
«Sì, signore» disse lui. «Un ritardo può capitare a chiunque, non trova?»
La sua aria era pacata e rassicurante. Ci pensai un istante.
«In effetti, sarà certamente così» dissi.
«Nel frattempo vuole accomodarsi in camera ad attendere, signore?»
«Sì, grazie, anzi no! Vede, volevo parlare anche di questo con lei.»
«Con lei, la sua amica?»
«No! Con lei… lei direttore.»
«Con me?»
«Sì, cioè, no! Anche con lei, ma soprattutto con la mia amica, intendevo dire. Sa, io non posso permettermi di soggiornare in un posto così bello e allora volevo chiarire. Lei mi ha invitato però non vorrei che poi sorgessero dei malintesi.»
Mi guardò, con un sorriso rassicurante.
«Non deve preoccuparsi per questo» disse. «Lei ha un soggiorno pagato con tutti i confort e gli extra che desidera.»
«Ah!» esclamai stupito.
«E questo fino a domenica.»
Il direttore mi guardò e fece un sorriso eloquente.
«Ringrazi la sua amica.»
«Già, lo farò. Quando la vedrò. Lei l’ha vista?»
«Ma chi scusi?»
«La mia amica!»
«No, signore! Almeno, non credo proprio!» esclamò con un sorriso.
«Come no?»
«No!» ripeté.
«Ma non è possibile!»
Lo guardai confuso. Mi sentivo ad un passo dal panico.
«Allora chi ha prenotato per me?» chiesi con decisione.
«Non lo so, immaginiamo la sua amica.»
«Come sarebbe, immaginate?»
«È molto semplice, signore.»
«Sarà però mi faccia capire!» lo anticipai angosciato.
«Ci è giunta la richiesta per il soggiorno e un saldo di pagamento, proprio per la sua permanenza.»
«E da chi?» chiesi, anticipandolo con foga.
«Non lo sappiamo, signore, perché la richiesta è giunta via mail e noi non abbiamo indagato sul richiedente. Sa, la nostra discrezione è proverbiale, anche se, a questo punto, crediamo sia stata la sua amica.»
«Già» sussurrai.
«Le suggerirei una cosa, signore» disse l’uomo.
«Mi dica.»
«La faccio accompagnare in camera. Si riposi un po’, si rilassi e vedrà che nel frattempo la sua amica si farà viva.»
«Forse ha ragione lei. In effetti sono molto stanco.»
«Desidera prendere qualcosa? Le portiamo un thé con dei pasticcini?»
«Sì, direi di sì, benissimo.»
«Tra un po’ le sarà servito direttamente in camera» disse.

* * * 

MISTERO AL LAGO DI STAZ di Ettore Comi - Edizioni I libri di EMIL - www.ilibridiemil.it

Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.
 

 

 

 

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