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" TEMPI SOSPESI " di MARCO CONTI

Un viaggio alla ricerca di se stessi, partire per ritrovarsi anche se il cuore è da un’altra parte e la mente va per conto suo.

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BIOGRAFIA AUTORE

Marco Conti è nato a Cagliari nel 1985. Dal 2008, anno della laurea in Scienze dei Servizi Sociali e dell'esame di stato, è un Assistente sociale. Esercita la professione presso la casa famiglia per minori e adolescenti di Esterzili e i centri di medicina riabilitativa CMF e Santa Lucia.

La sua opera d'esordio letterario è "Dalle ceneri della fenice", pubblicato nell'ottobre del 2011, giunto ora alla seconda edizione e di cui Claudio Angelini, sceneggiatore romano, ha realizzato l'adattamento teatrale.

"Tempi sospesi" è il suo nuovo romanzo. Parallelamente continua a coltivare la sua passione per il calcio.

PRESENTAZIONE

Caro Lettore,

Giulia ha deciso di lasciare Edoardo, e lo fa andando via senza avvisare, senza lasciare nemmeno un biglietto, proprio come i quadri che cadono all’improvviso, quando il chiodo decide di staccarsi dal muro.

Non è più l’amore a riempire la sua vita, solo un senso di vuoto e i mille ricordi che uno dopo l’altro riaffiorano e riempiono la sua mente.
L’incontro con Giulia:
- “Vabbè che non sei un professore, però un caffè me lo potresti offrire.”
- “Volentieri. Come lo preferisci?”

E la vita di Edoardo si riempie d’amore, “come se stesse danzando su di una corda sospesa per aria. In perfetto equilibrio. Avrebbe voluto fermare il tempo e farlo ripartire sempre da lì.”
 

Ma a volte accade che anche la storia d’amore più bella finisce. Ed è sempre la persona lasciata a soffrire di più, il senso di vuoto diventa il suo padrone.

Edoardo Non danza più  sulla corda sospesa nell’aria, la corda si è spezzata e lui è precipitato.
Prova a rialzarsi, riprende in mano la corda e la lega, vorrebbe ricamminarci sopra con lo stesso equilibrio con cui ci danzava prima, ma i ricordi ed  il dolore sono troppo pesanti e la corda troppo debole per reggere il peso.
 

Edoardo ha paura.  Decide di prendersi una vacanza, di prenotare la stanza con la veranda e di dedicarsi solamente alla scrittura. Di fuggire dalla vita quotidiana, dalla monotonia del lavoro, di lasciare la città e di rifugiarsi sotto la luce della luna.

Edoardo prende per mano il silenzio senza violarlo e si rivolge al cuore del lago...

Un viaggio alla ricerca di se stessi, partire per ritrovarsi anche se il cuore è da un’altra parte e la mente va per conto suo.

Sicuro che al ritorno ti guarderai allo specchio e ci troverai un’altra persona.
Il viaggio poi finisce quando riponi la valigia vuota, ma è un altro il viaggio che sta per cominciare, e sarà quello dentro la tua vita.

(Raffaella Lamastra)

Buona lettura…

I Capitolo

TEMPI SOSPESI

Mentre sfogliava distrattamente le pagine di un vecchio Tex Willer ingiallito, si chiese che cosa ci fosse di più noioso che starsene tutto il giorno dietro il bancone dell’accettazione ad attendere l’arrivo di qualche turista, o di qualche viaggiatore capitato da quelle parti per caso, o, peggio ancora, di qualche ricco marito, venuto a cercare il piacere di una notte tra quelle campagne desolate con la malcapitata di turno. Naturalmente all’insaputa della moglie, sedata dal pretesto di un corso aziendale o di una noiosa trasferta lavorativa, che aveva a detta del marito l’unico pregio di essere ben retribuita, e quindi, non si poteva rifiutare. Ormai non si allietava più nemmeno a osservare l’imbarazzo di queste persone che, chiedendogli una stanza per la notte, lo imploravano tacitamente di mantenere un certo riserbo, o che gli raccomandavano di non voler essere disturbate. A lui quel fottutissimo lavoro notturno aveva impedito di farsi una famiglia. Una ragazza l’aveva avuta anche lui, da giovane, ma quale fanciulla avrebbe accettato di frequentare un uomo, non troppo bello né interessante, che dormiva di giorno per lavorare di notte? Nessuna.

A malincuore si era dovuto rassegnare, era dovuto scendere a compromessi con la vita e accontentarsi di riuscire a pagare l’affitto del suo appartamento nel centro del paese. Ma tante volte si era pentito, troppe volte. Aveva concluso che se fosse potuto tornare indietro, avrebbe compiuto scelte diverse. Magari proseguendo con la scuola. Non avrebbe commesso l’errore di ritirarsi con soltanto uno straccio di licenza media e un pugno di speranze. Avrebbe sposato quella ragazza, della quale ora non ricordava nemmeno il nome, e avrebbe avuto una bella famiglia. Avrebbe dormito la notte, come fanno tutti, e lavorato di giorno. Sarebbe tornato a casa per la pausa pranzo, velocemente, giusto il tempo di buttare giù un boccone e di scambiare quattro chiacchiere. Caffè e poi di nuovo in macchina, in modo da rientrare puntuale al lavoro, e poi la sera si sarebbe potuto dedicare con gioia e con calma a sua moglie, e, magari, ai suoi figli. Non si sarebbe sentito così insoddisfatto. Tante volte si era logorato con questi pensieri, e tante volte si era imposto di far tacere la sua coscienza. Rammentava a se stesso che era ormai troppo tardi, che non avrebbe scambiato quattro chiacchiere proprio con nessuno. Che la sua unica forma di vita sociale sarebbe stata solo quel ridicolo scambio di convenevoli con quei surrogati di clienti che arricchivano le tasche del suo padrone. Che, perlomeno, gli consentivano di ricevere il suo stipendio mensile. Ormai era troppo vecchio per cambiare vita. Per iniziare il cammino di un nuovo sentiero. E poi, sapeva fare solo quello. Sapeva fare bene solo una cosa: il fantasma, il portiere d’albergo, notturno.

E quella notte sembrava non trascorrere mai, eppure era appena iniziata. Alzò lo sguardo e si accorse che mancavano pochi minuti alle undici. Si grattò la testa, sconsolato, e si accorse che ormai la sua capigliatura stava diventando sempre più rada. Si commiserò da solo. E questo gli fece provare pena. Si rese conto di provare compassione per se stesso. Decise di accendere la televisione, magari stavano trasmettendo il telegiornale, l’edizione della notte. Magari era successo qualcosa di interessante. Talvolta ancora s’illudeva che gliene potesse importare qualcosa. “Salve. Sarei dovuto arrivare prima, ma non trovavo la strada. Mi scusi se l’ho disturbata…” Non si era accorto dei passi del giovane che gli si era parato davanti, e la sua voce decisa e sicura, anche se apparentemente triste, lo spaventò. “Disturbo? Bah…” “Ma poi a dir la verità, non avevo nessuna fretta, me la sono presa comoda, ho preferito viaggiare di notte, con calma mentre tutti gli altri dormono”. “Gli altri dormono eh? Già, già…” “Ho prenotato una stanza, quella con la veranda, con la vista sul lago. Mi hanno garantito al telefono che l’avrei trovata libera e che sarei potuto arrivare a qualsiasi ora”. Il portiere, che ora sembrava incuriosito e quasi affascinato da quella voce allo stesso tempo empatica e triste, frugò per qualche secondo in un grosso registro verde, cercando di decifrare gli scarabocchi che il collega aveva utilizzato per annotare la prenotazione del ragazzo che gli stava di fronte “Ecco qua. Stanza numero quattro”. “Benissimo. Che lei sappia la veranda è stata dotata di luce, scrivania e sedia, rivolte verso il lago, così come avevo chiesto?” “Non ne ho la minima idea”, rispose il portiere in maniera decisa, ma non sgarbata “salga e controlli. Nel caso domattina lo faccia presente al collega”. 

La risposta del portiere non suscitò nell’uomo nessuna reazione, solo un impercettibile sorriso di circostanza. Consegnò all’impiegato il documento d’identità necessario per la registrazione e si girò, poggiando i gomiti sul bancone dell’accettazione e osservando l’androne dell’albergo che lo avrebbe ospitato per quei sette giorni. Non era grande, ma in ogni modo accogliente, arredato con cura, con mobili economici ma di stile moderno, che non stonavano con l’atmosfera soave e solitaria di quel piccolo villaggio. Sulle pareti c’erano pochi quadri, ma la scelta sembrava rispettare un certo criterio, e le tende rosse giocavano con la luce soffusa delle lampade dando l’idea di un ambiente semplice ma confortevole, e per certi versi affascinante. Si stupì quando scorse la riproduzione, economica e senza pretese, di un quadro che aveva sempre amato molto, sin da quando, poco più che bambino, l’aveva trovato tra le pagine di una vecchia edizione del Dracula di Bram Stoker. La notò subito, racchiusa in una cornice rosso fuoco, posta a fianco della rampa di scale che portava all’unico piano superiore, dove si trovavano le camere. Ebbe l’impressione che stonasse con il resto delle tele, e che non si addicesse all’atmosfera creata in quella sala. Troppo tetro, troppo forte. Si chiese cosa fosse passato nella mente del proprietario. Ma allo stesso tempo si compiacque di esserne rimasto così stupito e attratto. 

E di averlo notato subito. “Il sonno della ragione genera mostri”, lesse a bassa voce, fissando intensamente il dipinto, sarebbe bello se fosse veramente così, pensò se bastasse svegliare la ragione per evitare di incappare nei mostri, o nel dolore, o nella sofferenza. “Fanculo”. “Prego?” “Nulla, nulla… pensavo ad alta voce”. “La sua chiave, salga le scale. La sua camera è l’ultima, in fondo al corridoio. Buonanotte signore”. “Grazie. Buonanotte anche a lei”. L’uomo prese la valigia in mano e salì le scale, fiancheggiando quel quadro in bianco e nero, che da bambino gli incuteva un po’ di paura, con tutti quei pipistrelli, quei mostri e quegli strani felini a circondare quella figura addormentata e apparentemente disperata. Ora gli aveva trasmesso soltanto malinconia. Gli aveva ricordato la sua tristezza. Salì le scale, senza guardarsi intorno, col passo di chi non ha fretta, bilanciando con il corpo il peso della valigia. Il portiere lo osservò con la coda dell’occhio. Incuriosito. Quel ragazzo lo aveva colpito, ma non riusciva a capire perché. Quella voce calda e sicura aveva catturato la sua curiosità come non gli capitava da parecchio tempo. E allo stesso modo gli aveva trasmesso tristezza. Come se quell’uomo fosse infelice. Come se nascondesse qualcosa. Eppure il suo aspetto lasciava presagire l’esatto contrario. Un ragazzo dall’aspetto distinto, che aveva preferito viaggiare comodo, e che aveva puntato su un pantalone morbido di tuta nero e su una felpa grigia con il cappuccio.

Alto circa uno e novanta, i capelli appena sollevati e un accenno di barba avrebbero dovuto consentire a chiunque una vita spensierata, anche sentimentalmente. Dal documento d’identità lesse che si trattava di un assistente sociale. Pensò che, molto volentieri, si sarebbe voluto trovare nei suoi panni. Eppure c’era qualcosa di strano, qualcosa di opaco. Qualcosa che gli fece passare immediatamente l’invidia. Gli occhi di quell’uomo gli fecero venir voglia di tenersi ben stretta la sua vita. Solo per un istante, però. Ma non aveva voglia di pensarci troppo, e preferì aprire nuovamente il suo Tex e riprendere la lettura. Aveva già fin troppi problemi, lui. L’uomo svoltò verso il breve corridoio che immetteva alle quattro stanze di quel piccolo albergo. Diede un’occhiata alla numerazione sulle porte, ben sapendo che la sua stanza sarebbe stata, come comunicato da quello strano portiere, l’ultima: quella in fondo al corridoio, quella con la vista sul lago. Fece comunque in tempo a notare la semplicità degli arredi: un tappeto rosso che discretamente accoglieva gli ospiti; le pareti spoglie da poco tinteggiate di un arancio caldo e intenso. Si diresse verso la sua porta, la numero quattro. Estrasse la chiave, che aveva infilato nella tasca della felpa, e aprì la porta.

* * * 

TEMPI SOSPESI di Marco Conti - Editore AmicoLibro - Le Lune.

Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.

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