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"MAEVA la benvenuta" di Daniela Vasarri

Il suo appuntamento con il grande giorno sarà domani

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BIOGRAFIA AUTRICE

Daniela Vasarri, è nata a Milano, dove vive e lavora.   Gli studi classici le hanno alimentato una passione profonda per scrivere, senza mai farle trascurare la lettura, attività che considera irrinunciabile. Ha iniziato nel 2010 ideando romanzi e racconti e ottenendo svariati riconoscimenti letterari. I libri pubblicati sono “Due anni in un sogno” (2011) Un salto verso l’ignoto” (Edb edizioni 2012)  “Guarda avanti” (Giovane Holden Edizioni 2013)  “Donne oggi” (Edb Edizioni 2014) e “Maeva, la benvenuta” (EEE 2015). Proprio perché sente sempre il bisogno di esprimersi scrivendo è anche editor nel web magazine Week News Life per le rubriche Salute, Freetime e Style e ha collaborato come redattrice al giornale MilanoSud. I sentimenti che fanno parte dell’universo femminile sono il comune denominatore dei suoi romanzi, che le danno uno stile narrativo semplice, ma molto coinvolgente.


PRESENTAZIONE

Caro Lettore,

Matilde è una donna moderna e coraggiosa, oltre che dannatamente ostinata. Non più sposata, decide di inseguire il proprio sogno di maternità, negatole nel precedente matrimonio e di affrontare da sola le fatiche e i dubbi di un’adozione. La nuova condizione è  un’operazione delicata e affascinante, di certo anche coinvolgente ma spesso difficoltosa, proprio perché vissuta come unico genitore. Negli incontri dei personaggi che vivono indirettamente con lei questa esperienza, Matilde sa ben destreggiarsi perché possiede una guida interiore e un affetto giovanile ricorrente nella memoria, che le daranno la forza anche di migliorarsi.

Parte quindi in direzione Thailandia e, dopo aver superato la burocrazia e la diffidenza del personale dell’orfanotrofio,  incontra così Maeva, che diviene finalmente sua figlia adottiva. Maeva è una piccola bimba, scampata miracolosamente al terribile tsunami del duemila e quattro. Bangkok è la cornice della prima parte di quest’ adozione.

Ritornata in Svizzera, dove ha la sua residenza, Matilde muove, passo dopo passo, la propria vita materna  scoprendo di possedere una saggezza istintiva che le permette di fare grandi progressi nel rapporto madre figlia.

Ma un problema di salute della bambina, derivante dalla fragilità del clima thailandese, disorienta e spaventa la vita di Matilde inducendola  a desiderare una stabilità condivisa, accanto ad un uomo.  Quando tuttavia sta per cedere al corteggiamento del dottor Martella, ricompare Franci, migliore amico d’infanzia di Matilde e guida interiore.

L’epilogo romantico della vicenda vedrà Maeva una bambina sana e felice.


Buona lettura...

MAEVA la benvenuta

Era estate, il periodo peggiore per affrontare quel viaggio in oriente, ma non le importava.

La peluria bionda sulle gambe si interrompeva dove iniziavano le caviglie, magre ed ossute come la sua figura, sorretta da un morbido mocassino dal colore sbiadito ed un poco allentato all’esterno, che tradiva l’andatura tipica di chi non ha gambe perfette. Non ne aveva mai fatto un dramma.

“sei cocciuta come il mulo di mia nonna” le urlava Franci, il suo migliore amico.

Sapeva di esserlo, anche se con Franci non lo ammetteva mai. Ora stava per dare a se stessa la più forte dimostrazione della propria caparbietà,  ma Franci non sarebbe più stato presente a ricordarglielo questa volta. I loro destini avevano scelte strade diverse.

Si era presentata al check- in  con un buon anticipo, nel timore di non riuscire a salire per tempo su quell’aereo diretto verso Bangkok.

Così Matilde ora, con le spalle incollate a quel finestrino dell’ala destra nella parte anteriore, segue con una frenesia ben celata, le manovre di decollo. Ripassa i gesti precedenti per accertarsi di non aver tralasciato nulla, soprattutto visualizza se stessa mentre ripone nella grande borsa blu floscia i documenti, quelli indispensabili perché la sua missione vada a buon fine. Molte ore di volo la attendono, non ha voglia di conversare con chi occupa il posto accanto al suo,  infila gli auricolari nelle orecchie dando un segnale ben chiaro di isolamento. Permetterà di venire distratta solo dalla hostess al momento del cosiddetto pasto offerto dalla compagnia.

Il jumbo si alza, lascia Roma, che da grande capitale diviene una macchia di case sempre meno visibili, poi le nuvole e finalmente il sole. Matilde è vicina alla realizzazione del suo sogno, solo poche ore ancora.

“Franci quando sarai grande vorrai dei bambini?” domanda Matilde, con la sua solita aria indagatrice, seduta con le gambe penzoloni sulla panchina di legno verde dietro casa, dove erano soliti trascorrere le ore pomeridiane.

“se troverò la donna giusta certamente” gli risponde secco, con fare adulto, guardando in alto, alla ricerca di un volto nella sua fantasia. “ e tu?”

“ oh farò qualsiasi cosa pur di averne, anche senza un uomo” risponde Matilde determinata.

“sì, ma se non incontrassimo la persona giusta con cui farne?” le chiede Franci preoccupato.

“ci sposeremo noi” e scoppia a ridere, agitando le gambe secche.

“non essere sciocca, noi siamo amici, e gli amici non si sposano” le ribatte Franci razionale ma gentile

“beh. Vorrà dire che ci aiuteremo allora, tu mi presenterai tanti ragazzi ed io parlerò bene di te alle mie amiche!”

“ok affare fatto” e le porge la mano come si conviene tra gentiluomini che stringono un patto.

“Franci…io ti voglio bene, noi saremo sempre amici, vero?” Matilde lo guarda, cerca la conferma in quel viso sottile, proprio come una donna vuole oltrepassare le apparenze sperando di ritrovare, materializzati anche sul volto dell’altro, i propri sentimenti.

“sempre” le ricambia lo sguardo con serietà e Matilde smette improvvisamente di ciondolare le gambe.

“Signora scusi, faccia attenzione…che bevanda desidera?”  una dolce ragazza, con un grembiule di plastica azzurro ed un vassoio in mano, da dietro ad un carrello instabile, la distrae dai suoi pensieri.

“Oh, mi scusi, acqua per favore e qualcosa di salato se possibile” Matilde si ricompone, sorride  impacciata al proprio vicino mentre gli allunga le braccia davanti e, con grande educazione ritira il proprio spuntino.

Abbassa il tavolino avanti a sé, dà un’occhiata all’azzurro del cielo come nelle cartoline d’estate, e inizia a scartare le minuscole porzioni.

“proprio come quando giocavo a fare la cuoca” non può fare a meno di ricordare.

“Assaggia!“

No, sei una pessima cuoca”

“assaggia ti ho detto”

“mai, è una schifezza fatta con la terra e i fili d’erba” si ribella Franci.

“vedi che non sai stare al gioco? Chi ti prenderebbe come marito? Sei noioso e non hai fantasia” gli urla Matilde.

Perché proprio oggi il ricordo dell’amico Franci torna in modo tanto preponderante? Matilde si rende conto che forse avrebbe bisogno di lui, di essere ancora seduta sulla loro panchina, di avere la sua compagnia, la sua razionalità, la sua amicizia. Ma di Franci ha perso le tracce, da quando lui, dopo il primo anno di università  ha deciso di lasciare l’Italia, la famiglia e lei, quella amica cocciuta.

Un po’ di turbolenza è normale, Matilde non le dà peso, è proiettata oltre, verso il suo nuovo cammino.

Dopo mezz’ora d’ instabilità, finalmente l’aereo si assesta, i volti delle persone si distendono, le gambe si allungano e si sente di nuovo il biascichio di alcuni, senza tuttavia comprenderne i discorsi, perché il ronzio di fondo livella ogni conversazione.

Persino la luce del sole è cambiata, meno accecante, più conciliante insomma.

“mi scusi, posso?” Matilde si alza e scavalca con le gambe agili la persona sul sedile accanto.

Una breve camminata, per raggiungere il bagno della parte anteriore e sentire di nuovo le gambe in tutta la loro lunghezza. Uno sguardo distratto a chi sonnecchia, a chi legge, a chi si esercita conversando in un inglese stentato. Le hostess si concedono una pausa  dopo aver sfilato con quei buffi carrelli carichi di confezioni trasparenti.

Il bagno occhieggia un “vacant” e Matilde vi si infila di traverso, facendo attenzione a non urtare un mini lavello di acciaio pieno di gocce d’acqua mista a sapone. Solleva la gonna di jeans, bada a non appoggiarsi sull’asse malgrado la posizione sia precaria e spinge il grosso pulsante di scarico, che assorda anche chi attende fuori nel corridoio.

Poi si guarda nello specchio quadrato, illuminato da una luce che la fa sembrare ancora più pallida, ciononostante si giudichi luminosa, lei conosce il motivo per cui sia così raggiante.

Ritorna stentatamente al suo posto “mi scusi posso?” e ritrova la posizione lasciata, appoggia di nuovo la borsa blu floscia tra le sue gambe sul pavimento di moquette non prima di aver controllato con  un’occhiata  che non ne  sia uscito nulla.

“Trentasette anni, un marito che non c’è più, una buona professione:  “è l’età giusta”  ripete a se stessa, ma è solo un concedersi un ulteriore giustificazione razionale. Matilde sa benissimo che di ciò che sia giusto oppure no da fare nella vita, le importa poco, le ha sempre importato poco. Ha seguito il suo sentire da sempre, che comunque, non l’ha mai tradita.

“come è incominciata questa avventura?” si chiede.

“se lui fosse stato diverso, ma perché dargli colpe, grazie a lui ora sono qui ed è esattamente ciò che sognavo di fare quando ero ragazzina” si rilassa e sorride guardando il tramonto avvicinarsi.

Diverse ore più tardi l’aeromobile assume l’aspetto di una scuola dopo ore di lezione: niente più ordine, oggetti caduti, odori naturali e posizioni innaturali delle persone che occupano i sedili, la svogliatezza come il desiderio di uscirne, viaggiano di pari passo verso la destinazione.

Qui però qualcuno è riuscito ad addormentarsi, mentre sui banchi di scuola non è mai concesso!

“schiena diritta e gomiti sul banco, svelti!” urla la maestra con tono perentorio.

Grembiuli bianchi e fiocchi azzurri, come dei confetti pasquali, tutti uguali, stessa voglia di infrangere le regole e stesso timore di farlo.

Matilde perfetta, osserva i compagni, i cui visi le sono impressi ancora oggi, al punto che saprebbe riconoscerli anche in mezzo ad un mercato affollato.

E poi lei, la sua antagonista, Lia, volto ovale e lacrima da tamponarsi con il fazzoletto almeno dieci volte l’ora, handicap fisico che induce tenerezza nei grandi.

E Mara, nera di capelli, ossuta e gracile, con occhiali tanto grossi che sembrano una maschera subacquea, con una voce così squillante che non riesce nemmeno a suggerire senza che venga subito intercettata; quanti pomeriggi Matilde ha passato da lei in quel minuscolo appartamento pieno di gessi e stoffe, rocchetti di filo e grosse forbici da sarto osservando il padre di Mara adoperarle con maestria?

Come in una sfilata gli attori di teatro al termine di una commedia si inchinano per accogliere quanti più appalusi riescono, così Matilde ripassa, uno ad uno, i visi dei suoi compagni e inevitabilmente si blocca su quello di Franci.

Insignificante di primo impatto, moro con capelli un poco ondulati, tenuti spettinati, un mento sottile e due occhi vivaci, niente di più, una bocca sottile ed un naso leggermente appuntito. Ma tanta chimica tra di loro sulla quale Matilde avrebbe scommesso per la vita. Ci credeva, così come si crede che niente e nulla potrà farci mai cambiare idea sui nostri desideri di realizzazione, o sulle nostre convinzioni politiche quando si è adolescenti o sulla fedeltà alla propria attività sportiva.

“Matilde ti devo dire qualcosa che non ti piacerà” gli pare di averlo davanti ormai adulto, con lo sguardo impacciato.

“cosa hai combinato? Ti sei innamorato? “Gli risponde lei sfrontata.

“Niente di tutto questo, ti ricordi del mio progetto di studiare e lavorare poi all’estero?”

“Sì.. e allora, dove te ne vai in vacanza quest’anno?” quasi incredula si prende gioco di lui.

“Non si tratta di vacanza, parto per Delhi, studierò là e, se Dio vorrà, potrò esercitare la specializzazione in ayuverdica” sospira, Matilde sente ancora oggi quel lungo respiro di pausa.

“Sparisci, mi avevi giurato che saremmo sempre stati amici, ora invece ti presenti con questa bella notizia e io dov’ero quando hai deciso? Io dov’ero quando hai presentato le domande di ammissioni, che razza di amico sei? Vattene” e sente ancora oggi avvamparsi.

“calmati, non volevo farti soffrire prima del tempo, non sapevo se mi avrebbero ammesso, nemmeno se i miei mi avrebbero aiutato in questo progetto… e poi noi saremo sempre amici Matilde” cerca di abbracciarla ma lei si divincola come farebbe con un estraneo che voglia farle violenza.

“tu non sai cosa sia l’amicizia Franci! Non scrivermi, non farti più vivo, prenditi quella benedetta laurea o specializzazione che sia ma sparisci dalla mia vita!”

Arrivata nella sua stanza cerca affannosamente, per distruggerlo,  ogni possibile ricordo di Franci, della loro amicizia, vorrebbe scendere e prendere a picconate la loro panchina, poi si accascia sul letto e si ripromette di dimenticarlo per sempre, come non fosse mai esistito.

“Signora, si allacci le cinture, stiamo per atterrare a Bangkok” è la stessa hostess che poche ore prima le aveva porto il vassoio delle bambole.

“Grazie, ok” risponde Matilde infreddolita e intorpidita dal tempo di immobilità nella stessa posizione.

Eccola Bangkok, enorme, confusa, ma per Matilde la terra dell’inizio della sua nuova vita.

Il pesante jumbo si abbassa, sembra che fatichi a tenere nel grosso ventre tutto quel peso, sembra che trattenga il respiro per non cadere pesantemente a terra, poi uno stridio intenso, quello delle ruote sulla pista, Matilde chiude gli occhi quasi illudendosi che il suono fortissimo dei freni sull’asfalto possa così affievolirsi .

Centinaia di metri, poi l’arresto. Bangkok.

E come all’ultima ora a scuola tutti si alzano, vociano, fanno confusione, cercano zaini, così l’aereo viene preso d’assalto per essere evacuato il più in fretta possibile, i passeggeri già  dimenticano l’utilità del servizio offerto, gli  sembrano, insomma, irriconoscenti.

Matilde afferra la borsa blu floscia, dà un’occhiata veloce al sedile ancora caldo dopo tante ore di volo, attende che il suo vicino raccolga il proprio bagaglio e poi, con agilità, ritira dalla cappelliera il suo trolley rosso. In fila, composta, attende che il portellone venga aperto, nel frattempo ripassa mentalmente ciò che dovrà fare appena superata la dogana, ultimo sguardo alle piccole finestre dell’aeromobile.

“Arrivederci” le sorride l’unica hostess di cui ricordi il viso

“grazie” risponde Matilde, contraccambiando il sorriso.

L’aria di Bangkok è pesante, il primo biglietto di presentazione di una città dalle mille sfaccettature.

Matilde supera le formalità doganali senza intoppi, esce dall’aeroporto e prende il primo taxi disponibile.

“da grande andrò in Asia, sai dov’è l’Asia ?” Franci si divertiva spesso a  stuzzicarla.

“certo che lo so, e tu sapresti capire quello che dicono? Gli ribatteva Matilde.

“sicuramente avrò imparato la loro lingua” rispondeva Franci razionale come al solito.

“Andiamo all’hotel, grazie” risponde in inglese Matilde al tassista, distraendosi dal suo ricordo delle conversazioni infantili con l’amico.

Bangkok è una metropoli affollata di tutto, templi, grattacieli, baracche,  biciclette, auto, persone, odori e profumi .

E’ come una statua di argilla che si ricopre d’oro, come una donna che mette in mostra tutto di sé all’apparenza, ma che nasconde il proprio lato più misterioso.

Il frastuono dei clacson, dei campanelli, del vocio sembra  elevarsi sopra le altezze dei palazzi e ricadere sotto forma di melodia, una stupenda melodia orientale che vuole fondersi con l’occidente.

E’ rimasta come Matilde la vide la prima volta, non è il numero dei palazzi cresciuto che la può avere cambiata, il suo cuore è identico a come lei la ricorda.

Molti anni prima, in un viaggio di piacere con suo marito, ignari del loro percorso. Un viaggio di speranza, che qualcosa, in quel contesto, potesse riavvicinarli, ma inutilmente.

Eppure Matilde non teme l’esservi ritornata, sola, con un progetto diverso, sente che questa volta Bangkok rappresenterà per lei la realizzazione di tutti propri sogni.

Buddha dorati, enormi, pellegrini variopinti in riverente contemplazione, si respira nell’aria il sapore dei desideri, delle preghiere, ma anche dei ringraziamenti alla vita. Anche Matilde ha ben imparato cosa significhi avere fede.

L’albergo, simile a mille altri, reception sontuose ma anonime, saloni che si susseguono come se portassero al nucleo della ricchezza. Ascensori affiancati che ti tolgono il respiro mentre salgono.

La sua camera finalmente, in stile orientale, come vuole la tradizione. Copriletto color oro, grandi finestre sulla metropoli, moquette che ricorda il colore del fiume Chao Praya, impianto di condizionamento sapientemente camuffato da travi. Rachele dà un’occhiata attenta ai mobili e negli angoli del pavimento che non vi siano scarafaggi, come le accadde di vederli nella sua ultima permanenza a Bangkok anni addietro con il marito, in cui ne trovarono indisturbati sulla cassettiera, provenienti dai condotti del condizionamento d’aria, di cui, pare, fossero abituali frequentatori. Lei proprio non li sopporta.

Butta il trolley sul sedile portabagagli ma decide di aprirlo solo dopo che avrà fatto una doccia rigenerante e, magari, una mezz’ora di riposo.

In fondo oggi gli uffici amministrativi sono chiusi e il suo appuntamento con il grande giorno sarà domani.


"MAEVA la benvenuta" di Daniela Vasarri - Ed. EEE

Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.

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