In un mondo in cui la fotografia è diventata una parte quasi imprescindibile dall'esistenza umana,
è quasi difficile per l'uomo "moderno" immaginare che esistano paesi in cui le credenze popolari, ancora e per fortuna
fortemente radicate, rifiutino di lasciarsi fotografare.
Questo accade perché, soprattutto per le popolazioni aborigene, si crede che una foto possa "Rubarti l'Anima", quasi come una sorta di
magico incantesimo che riesca a catturare una parte di noi per imprigionarla nella carta fotografica.
Un concetto che può sembrare assurdo a molti ma che credo sia tanto poetico e meriti rispetto.
Io per esempio, caratterialmente non sono una persona invadente e questo mio modo di essere si riflette tanto nell'approccio fotografico che ho
con il soggetto.
In generale infatti e so che la cosa può rivelarsi per me controproducente, non amo realizzare "scatti rubati" anzi cerco sempre
di creare una sorta di contatto, con un gesto o un sorriso, con la persona che voglio immortalare.
Nell'ambito della fotografia musicale, fare ciò mi riesce molto più semplice, perché la musica in sé crea quella sorta di legame invisibile, di consenso
non scritto, che nasce tra chi sta sul palco e chi fotografa, un dirsi reciprocamente grazie per l'anima che si è deciso di mettere a nudo e condividere con gli altri, sotto forma di
immagine o canzone.