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LA SOLITUDINE DI DAHAB

Analisi lirica della solitudine di certi posti e certi viaggi

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Luna piena e tra un paio d'ore c'è pure un’eclissi.

La solitudine di Dahab è tale che per le prime due settimane non ne percepisci neanche l'esistenza. E' così grande, così vasta, che ti pare impossibile che esista, finché in breve capisci che non eri che un granello che camminava al centro del suo possente deserto. Onnipotente, schiacciante. Anche se io sto ancora lottando per mantenere una mia volontà indipendente, non assoggettata alle sue dinamiche già prestabilite. Ma in breve tempo ogni singolo messaggio ricevuto al cellulare di sorpresa assume un valore prezioso. Seduta a cena da sola, per infinite volte lungo i viaggi o lungo tutti i chilometri a piedi senza una presenza amica accanto, mi sorprendo a rileggerli con uno strano appetito, gustandomeli ancora e ancora come i grani di un rosario. Che sia un'amica che si interessa a me, che sia una semplice comunicazione pratica, che sia un uomo. Qui in Sinai tutti sempre iniziano con una volontà caparbia di tenersi aggrappati ai propri progetti come a un albero maestro, come siamo abituati a fare da noi, contro i gossip di cui vive la maggior parte di questa comunità, contro il vuoto e contro la facile pigrizia di questi luoghi. Ma poi, in maniera molto simile a quella dei Caraibi, incollarsi a un'attenzione che spicca sulle altre, come fosse una pozza d'acqua dopo mesi di deserto, diventa per questo posto un giochetto da ragazzi e tutta una sera può finire per ruotare attorno a una frase. Al furto di un'immagine di piedi forti e scuri. O a un messaggio che non arriva.

Fatto sta che in quattro e quattr'otto sei già lì, al centro dell'infinito oceano bianco, e sei un granello di sabbia che pretende di restare sospeso nell'aria, immune a ogni già sperimentata tentazione. Così ho dovuto chiudermi a forza in albergo a dormire e agonizzare. In Italia, a casa propria, non ci si sente mai così esposti e vulnerabili e non lo si potrebbe capire. Credevo di riuscire a vivere in questo distacco protettivo e sicuro a lungo. Invece è bastato un discorso con una mente più aperta in un giardino di brezza di palme a farmi sentire prostituta del grande deserto da cui dipendiamo sia io sia il mio “libero arbitrio”.

Così mi sono chiusa in albergo a scrivere, e adesso la luna piena qui sopra la vado a vedere da sola sulla terrazza. Mi sono forzata in questa sorta di clausura per impormi alle sirene di Dahab, per non assecondarle nello sperimentare sempre, soddisfacendo la mia terribile curiosità e assoggettandomi a questa solitudine che stordisce. Dopo cena credevo che mi avessero messo qualcosa di strano nel cibo. Non capisco se è il sole o una sorta di magia, o ancora questa luna, qui quasi accecante, a togliere alle persone autocontrollo così facilmente. Non ho bevuto e non ho fumato. Non capisco dov'è Dio e dove stanno tutti i nostri propositi di elevazione e di crescita se alla fine comandano il deserto, gli istinti elementari della pura ricerca di calore e uno strano stordimento che a certe latitudini non sai neanche se derivi da magia nera, energie territoriali o colpi di sole.

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