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HIPPY E SULTANI

I regali del viaggiare

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Oggi Dio mi ha graziata di un'altra manciata di preziosi regali, proprio mentre rischiavo di affondare nella solitudine. Invito a sorpresa nella casa del pirotecnico amico poeta. Eccolo introdurmi contro ogni previsione da un nascosto vicolo polveroso ad una casa da favola, in muratura e legno, con tutte le finiture e le lampade in vetro egiziano colorato. Due giardini e tre cuccioli di cane che mangiano e giocano in perfetta amicizia coi gatti. E una cena da sultano: Osama ha cucinato tutto il pomeriggio piatti egiziani e specialità siriane per me e per i suoi due conviventi,  due ragazzi austriaci che come me hanno deciso di vivere a Dahab. Ho ringraziato Dio per ogni singola portata, silenziosamente. Dal fondo di me, ho ringraziato il Cielo in silenzio per ogni bambino beduino venuto a bussare alla nostra porta sul giardino, portandosene dietro altri dieci per accorrere a giocare con Osama - il dispensa-leccornie, il dispensa-poesie. Ho ringraziato per il cucciolo addormentatosi dentro la mia giacca, a riscaldarmi la pancia, dolce al punto da disarmare i miei pensieri e spostarli via da qualsiasi uomo. Ho ringraziato Dio, quando, rimasti chiusi fuori in giardino, Klaus è volato sui tetti come un gatto sotto il Grande Carro, Osama praticava un massaggio di riflessologia plantare a Peter e sottovoce cominciava a declamare preghiere arabe. In quell'istante di perfezione, credo che il vento abbia creato un triangolo tra le nostre teste in quel giardino; credo che il secondo cucciolo sotto la mia mano piena d'amore sia caduto in una sorta di ipnosi, che Klaus sul tetto potesse davvero balzare come un gatto selvatico e che tutti i viaggi del mondo fossero sospesi dentro la firma di quel vento immobile, dentro le formule arabe di Osama e io ho sfiorato l'estasi. 

Mi si stava di nuovo dando così tanto dentro uno stesso attimo da rendere impossibile avvertire qualunque vero dolore: sarebbe stato cecità, sarebbe stato non apprezzare quello che a piene mani mi si stava offrendo. Persone care con discorsi interessanti, tutta quella tenerezza dai tre cuccioli, stelle, ottimo cibo, tè zuccherato, vento marino, giardini mediorientali... Quanta dannata bellezza c'è dentro ogni minuto di Dahab? Quanto calore, quanta spontanea vicinanza tra le culture, quante lingue in sole quattro persone, quanta abbondanza? Non riesco, non posso scriverlo. Non ci si può riuscire mai.

Peter come me era a Dahab durante l'esplosione delle bombe del 2006. Dice che il D.J. del ristorante accanto a dove lavoravo è stato sbalzato a terra dalla pressione, e che racconta che quando ha cercato di alzarsi ha visto un angelo. L'angelo gli avrebbe detto: “Resta a terra, resta a terra e starai bene.” Esattamente quello che ho fatto io, a dieci metri da lui.

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