Questa mattina nuovo black-out totale a Dahab. Gli esercizi aprivano alla strada i loro interni cavernosi senza il solito sottofondo di Corano e nessuno poteva cominciare a lavorare.
Io vagavo in bicicletta avanti e indietro per il paese aspettando la connessione ad internet e lasciandomi guidare dalle conoscenze casuali che immancabilmente ti vengono incontro ogni giorno. Mi piace affidarmi alla loro sempre diversa combinazione per vedere dove mi portano, quando ho tempo a disposizione. Puntualmente riconosco H. dalle sue scarpe gialle, il pittore solitario dalla sua mole e dal perfetto “buongiorno!”, G. dalle sue mani ricolme di noccioline per tutti…
Durante la mia ora di ginnastica, sdraiata sulla terrazza del Full Moon, al tramonto, all'improvviso decine di piccoli sacchetti di nylon provenenti dal deserto hanno invaso il cielo. Non ho compagnia, ma ho vissuto la poesia di quella scena di “American Beauty” centuplicata.
Subito di lato, poco dopo, i rapaci del deserto formarono nell'aria a centinaia le tipiche bellissime spirali articolate. Il fatto strano è che solo nel deserto avevo visto quei disegni e che l’ultima volta che in Italia mi hanno accompagnato all'aeroporto per tornare a Dahab, sui campi tra Ferrara e Bologna, altri uccelli nostrani creavano le stesse spirali nel cielo mentre passavamo, come un messaggio. Li osservai in silenzio, ciò che è sufficiente per trasformare un dettaglio in un segreto.
Ma ora sono di nuovo a Dahab, sola sul tetto, di notte, chiedendomi che strana scuola è quella di quest’esperienza in Sinai e in che cosa dovrà trasformarmi. Chiedendomi cose come: quando arriverò all'apice della poesia e del dominio della parola, potrò finalmente andare al di là della malinconia e del batticuore, al di là dei sentimenti umani e trovare Dio?