Qui condivido con voi un'altra pagina di questo diario inedito, l'ultima scritta nell'anno 2012, durante il viaggio: l'ennesimo forzato distacco da Dahab (ho cercato per nove anni di riuscire a vivere qui, ma in Sinai qualunque progetto o sogno dura lo spazio di un miraggio, come se tu stessi sempre magicamente costruendo sulla sabbia). Buona lettura.
"Speravo fosse l’ultima volta, la volta scorsa. Dahab è l’unico posto in cui mi sento a casa, vorrei riuscire a viverci tornando in Italia in vacanza solo per piacere un paio di mesi l’anno, a scelta. Invece anche questa volta mi trovo costretta a tornare per lavorare (in Egitto la situazione economica è quasi disperata), di nuovo una stagione nel turismo via di qui. Sarà come andare in carcere, farò di tutto per impegnare la mente e concentrarmi sui lati positivi per fare passare in fretta il tempo, scivolarci sopra. Vorrei lobotomizzarmi, spegnere la mente per cinque mesi. Questa separazione da Dahab è stata la più dolorosa di tutte, più ancora dell’ultima volta, e ogni volta lo è di più. Questa volta mi separo da un posto che sento realmente casa mia, da una gattina che adoro (e a cui non posso spiegare perché non mi troverà più). A Dahab lascio il mio cuore, le mie abitudini, la mia libertà , la mia gatta e la mia casa.
Non riesco a capire né a ricordare quanto sono lunghi cinque mesi. Non riesco a misurarli, a immaginarlo. Solo a stare via da Dahab due settimane durante il mio ultimo viaggio mi sembrava di essermi allontanata dal paradiso. Solo tornata a Dahab mi sono ripresa dagli squilibri, in appena due giorni. Così come non riesco a immaginare quanto saranno lunghe le due ore e mezzo di scalo al Cairo con questo umore.
Mi devo promettere che non capiti più, questa volta è troppo traumatico e sono troppi addii insieme, troppi tagli. Per non dire che sono partita alle tre di notte, starò in giro ore tutta la notte tra gli aeroporti di Sharm e del Cairo. Devo concentrarmi con tutte le mie forze sull’amore dei miei, sugli agi italiani, sulla bontà benedetta del cibo del mio paese e del suo vino che mi è mancato tanto, oppure mi sento morire. Ho chiesto scusa al mio gatto per due giorni. Quando l’ho salutata e coccolata l’ultima volta ho sentito che stavo morendo. Sono attaccata a ogni singolo scorcio visivo, angolo interno ed esterno della mia casa e di Dahab, drogata come una lupa dal suo vento caldo.
Il fatto è che a Dahab non è che ci si sente solo a casa. A Dahab ci si sente PROFONDAMENTE a casa, in senso letterale, come un albero. E’ come se avessi trovato la tua casa nel mondo e ci sprofondassi dentro come in sabbie mobili: devono strapparti fuori per lasciarla. E la sensazione è ogni volta come se ti strappassero i polmoni. Mentre piangendo mi sentivo morire ieri sera (ero davvero convinta che stessi morendo), mi sono ripetuta che non voglio più vivere così. Devo dare un taglio a questi tagli, non si può sradicarsi così ogni volta e ogni volta è più forte, composta da più lutti. Non mi sono mai, mai in vita mia, sentita così per nessun altro posto al mondo. Dahab non è un luogo. Dahab è una droga. Ieri notte ho sognato che era un enorme pezzo di guscio d’uovo schiuso, deposto tra le mie braccia.
In aeroporto è troppo freddo per dormire. Perfino le sedie di metallo sono fredde. Suonano una musica triste da Buddha Bar. Penso che darei un braccio per scoprire qual è il mistero insondabile che mi condanna a perdere sempre Dahab: non posso più permettermi di lasciarla così."