-Mendicare DI Max De Paz
Il Quinto arrondissement, il più antico di Parigi, è quello dei resti romani, del Panthéon, della Sorbona. Oggi, dice il giovane narratore di questo brillante romanzo d’esordio, lo riconosci invece dai borghesi ricchi e dal prestigio del denaro che ha scalzato quello della storia. Guardando bene, però, qualcosa stride ai margini del quadro: il quartiere è pieno di esclusi e drop-out – senzatetto, barboni, mendicanti che vivono per strada e intralciano i passanti coi loro cartoni unti e i loro fagotti. Il ragazzo è uno di loro, ha vent’anni e già una storia pesante alle spalle: un fratello maggiore rovinato dal crack, una casa popolare da cui la sua famiglia è stata sfrattata, una madre che non sa più dove sia. “Così ho finito per appoggiare il culo a terra. Poi le gambe, la spalla, la guancia”. Sull’asfalto della strada stringe rapporti tragicomici di sopravvivenza e complicità: con i suoi sgangherati compagni di elemosina guarda il mondo che finge di non vederli o non li vede proprio, e quelli che con una moneta si ripuliscono la coscienza. Ci sono giorni migliori, in cui una gaufre al cioccolato ha il sapore di una gioia ritrovata, e quelli peggiori, in cui la miseria abbrutisce e basta. Fin quando non incontra quello che sembra un mucchio di cappotti informe ed è invece Élise, una senzatetto anche lei, con cui trova qualcosa di luminoso, di caldo, che somiglia all’amore e alla voglia di combattere per uscire da “questo gran bordello, insieme”.
-Cartella clinica di Serena Vitale
Questo mini-librino è la dimostrazione che non c’è bisogno di scrivere 400 pagine per far piangere il lettore, ne bastano 100 (è una frecciatina al libro di cui avevo scritto nel mese di aprile, Blue Sisters di Coco Mellors). Anche qui si parla di sorelle, anche qui si indaga come un disturbo mentale attraversa una famiglia (là l’alcolismo, qui la schizofrenia), solo che questo non è un romanzo, sono ricordi veri, i ricordi di Serena Vitale, scrittrice e slavista che, tra le tante altre cose, è l’autrice della straordinaria indagine sul suicidio di Majakovskij dal titolo Il defunto odiava i pettegolezzi (Adelphi) (incluso nei libri del mese di Rivista Studio dell’ottobre 2015). Qui Vitale racconta la storia di sua sorella maggiore Rossana, Vitale racconta la storia di sua sorella maggiore Rossana, geniale pianista che durante l’adolescenza inizia a mostrare i sintomi della schizofrenia e che, dopo numerosi ricoveri, terapie e elettroshock, viene trovata morta nella sua stanza, all’ospedale psichiatrico di Roma. I vent’anni di vita di Rossana vengono ricostruiti attraverso un collage di frammenti di cartelle cliniche (commentate dall’autrice, che ne sottolinea tutti gli errori e le incongruenze), ricordi d’infanzia, dialoghi e anche fotografie che Serena Vitale ha la generosità di condividere con noi. Come succede anche in un altro importante libro sulla malattia mentale uscito proprio in questo periodo, Lo sbilico di Alcide Pierantozzi, tra queste pagine si piange ma si ride anche. Come dice Pierantozzi nell’intervista che abbiamo pubblicato: «Chi soffre molto nella propria interiorità conosce bene certi rari momenti di pausa dalla sofferenza, anche la più insostenibile, dove è possibile farsi una risata». Forse questo vale non solo per chi ha la malattia dentro di sé, ma anche per chi vive la malattia dall’esterno, guardando soffrire una persona che ama. E così, nel ripercorrere questi dolorosi ricordi, anche Serena Vitale cerca sollievo nei momenti più leggeri, rimettendo in atto con maestria le situazioni più comiche e disegnando con pochi agilissimi tratti i personaggi più assurdi della famiglia.
-I mariti di Holly Gramazio
Traduzione di Benedetta Gallo
Tornata a casa dall’addio al celibato di un’amica, Lauren trova uno sconosciuto in casa sua che la aspetta in pigiama e, soprattutto, dice di essere suo marito. Il problema è che Lauren non è sposata, o almeno non lo era quando è uscita quella mattina dal suo appartamento di Londra, in una giornata uguale alle tante che si succedono nella vita di una giovane donna in una grande città. Il marito di quella sera, scoprirà presto Lauren, non è l’unico: ce ne sono altri, molti altri, che vengono giù dalla soffitta di casa come se qualcuno li producesse in serie o, almeno, avesse un catalogo da cui scegliere giorno per giorno il marito ideale. Il semplice artificio creato da Holly Gramazio (ovvero la soffitta inventa-mariti) è una metafora forse banale ma efficace per parlare di cosa significa oggi “cercare” un partner: scrollare sulle app di dating un catalogo apparentemente infinito di facce e citazioni che dovrebbero raccontarci la persona imprigionata nello schermo, ma che il più delle volte ci restituiscono incontri superficiali o deludenti. A vincere, alla fine, è la convinzione che ci sia di meglio, e la pulsione ad andare avanti nello scroll. “I mariti” è l’esordio letterario di Gramazio, che di mestiere fa la Game designer (tra le altre cose, ha scritto la sceneggiatura del pluripremiato videogioco indie Dicey Dungeons). Non sorprende, allora, che l’elemento della “gamification” della vita amorosa sia centrale nel suo primo romanzo, come lo è per la maggior parte dei 30-qualcosa di oggi: i mariti sono potenzialmente tanti, alcuni all’apparenza perfetti altri immediatamente problematici, e Lauren li osserva scendere le scale ogni sera con curiosità (e speranza) mista a esasperazione, proprio come si scrollerebbero Hinge, Tinder o Grindr. Gramazio scrive in maniera deliziosamente leggera, ma è capace di toccare alcune delle nostre idiosincrasie generazionali spingendoci a riflettere su quello che davvero vogliamo dalle app, dai potenziali compagni o compagne, e da noi stesse. A ogni marito corrisponde infatti una versione diversa della stessa Lauren: non è la soffitta a contare alla fin fine, e neanche i mariti stessi, ma l’idea che abbiamo di condivisione.