BIOGRAFIA AUTRICE
Francesca Garau (Oristano, 1985), residente a Sesto San Giovanni da dieci anni. Lavora per un portale dedicato agli studenti.
Coltiva da sempre due grandi passioni: la musica e la scrittura. Dotata di una fervida immaginazione, ha incominciato a lavorare alla sua prima novella a soli otto anni, collezionando in seguito diversi riconoscimenti, tra cui il premio dell'Associazione Dante Alighieri di Roma. Ama raccontare le storie dei personaggi che abitano la sua fantasia, e vanta un ampio pubblico di affezionate lettrici online. “Un uomo come tanti” è il suo primo romanzo.
PRESENTAZIONE
Caro Lettore,
Greta Moore usa i risparmi di tutta una vita per vincere un’asta di beneficenza che le permetterà di incontrare il suo cantante preferito, l’inavvicinabile William Stevenson.
Tra tutte le sue ammiratrici, Greta è l’unica ad aver scoperto delle incredibili coincidenze fra i testi delle canzoni scritte da Stevenson e alcuni fatti di cronaca realmente avvenuti. Fatti inquietanti che riguardano suicidi, omicidi e morti accidentali.
All’inizio il cantante si infuria e nega ogni cosa, ma ben presto viene a galla la verità: William Stevenson ha un dono, un potere di preveggenza che gli permette di sapere chi sta per morire, a volte persino come e dove. Stevenson sfrutta questo potere per scrivere i testi delle sue canzoni e arricchirsi sempre di più, ma grazie a Greta Moore comincerà a smettere di pensare solo al proprio successo e ad usare le proprie capacità per salvare delle vite.
Si tratta in una storia d’amore fra un cantante ed una sua ammiratrice, una sorta di moderno Notting Hill, con ingredienti paranormali e numerose scene d’azione. La protagonista ne passerà davvero tante per arrivare al cuore del suo idolo.
La scelta di non descrivere mai fisicamente i personaggi è voluta, proprio perché è desiderio dell'autrice, che ogni lettrice possa identificarsi in Greta Moore, e che allo stesso tempo possa vedere in William Stevenson il volto del proprio cantante preferito.
Non si tratta di un romanzo dedicato esclusivamente ad un pubblico femminile: chiunque può ritrovarsi in William Stevenson, nel suo egoismo e nella
sua vanità, nella sua lotta per combattere i suoi crescenti sentimenti verso una ragazza qualunque, che entra nel suo mondo per sconvolgerlo e per mostrargli
che lui non è un uomo come tanti, ma un essere speciale e unico.
We are all in the gutter,
but some of us are looking at the stars.
(Oscar Wilde)
Buona lettura...
UN UOMO COME TANTI
1 Capitolo
La cena
“Si è conclusa all’incredibile cifra di ventiduemila sterline l’asta di beneficenza indetta da CharityVips.com a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 21 e 23 ottobre. Il prezzo base dell’asta era di ben diecimila sterline ma l’affascinante prospettiva di una cena privata in compagnia di William Stevenson è riuscita a raddoppiare tale cifra. La fortunata vincitrice stasera potrà trascorrere un’ora di tempo con il celebre cantante...”
Greta rimase immobile a fissare il proprio riflesso nello specchio appeso alla parete della sua camera, mentre il tele- giornale continuava a parlare di lei. Non era sorpresa del fatto che quella notizia continuasse ad andare in onda su tutti i canali, soprattutto per via della cifra importante che l’asta aveva raggiunto.
Ventiduemila sterline! Ogni volta che ci ripensava sentiva una fastidiosa vocina dentro la testa che le diceva che doveva per forza essere uscita di senno, che quello era solo uno stupido capriccio, che quei risparmi che aveva maniacalmente conservato per così tanto tempo non potevano venire sperperati in quel modo. Dissipare ventiduemila sterline per passare una serata con il proprio cantante preferito era semplicemente assurdo, folle, un gesto che soltanto una persona immatura e irresponsabile avrebbe potuto compiere. Ciononostante Greta metteva a tacere quella vocina ribadendo che per il suo unico, grande amore avrebbe fatto questo e molto più. E poi non capitava tutti i giorni di andare fuori a cena con l’uomo dei propri sogni.
Quando aveva scoperto per caso l’asta di beneficenza su un famoso sito web, Greta si era convinta che mai le sarebbe capitata un’altra opportunità come quella. Proprio non era riuscita a immaginare un’altra circostanza in cui avrebbe potuto non solo incontrare l’irraggiungibile e inavvicinabile William Stevenson, ma anche conversare amabilmente con lui e rivolgergli tutte quelle domande personali che da anni lei si portava dentro, domande che nessun giornalista aveva mai osato fargli. Così aveva partecipato all’asta e, contro ogni sua aspettativa, era riuscita persino a vincerla.
E così ora si ritrovava a prepararsi per l’evento più importante della sua vita. Si era tolta e rimessa il rossetto una decina di volte, prima di decidere di non metterlo affatto, aveva provato tutti i vestiti del suo armadio senza trovarne neanche uno che fosse degno di quella serata, aveva passato quattro ore dalla parrucchiera e due ore dall’estetista, e ancora non si sentiva pronta per ciò che stava per accadere. Solo quando udì il suono acuto del citofono capì che il tempo a sua disposizione per farsi bella era terminato. Diede un’ultima occhiata veloce allo specchio, dicendosi che senza chirurgia estetica quello era il massimo della gradevolezza a cui potesse aspirare, e corse a rispondere.
«Sì?»
«Signorina Moore? Sono Deborah, di CharityVips. Una limousine qua sotto la aspetta».
«Scendo immediatamente», disse Greta, col respiro affannoso.
Spense la tv, afferrò la borsetta con tutto il suo preziosissimo contenuto, e poi si volse a guardare il proprio piccolo appartamento, come se non dovesse tornarci mai più.
Deborah di CharityVips era una donna minuta, bionda e con un sorriso abbagliante.
«Buonasera, signorina Moore», esclamò non appena la vide, tendendo cordialmente una mano che Greta strinse con insolita timidezza. «Non scherzavo riguardo alla limousine». Deborah fece un cenno all’autovettura di lusso parcheggiata lì, di fronte a loro.
«È… è fantastica. Io sono… davvero emozionata», mormorò la ragazza. Aveva i palmi sudati e il cuore in gola.
«Sei giovanissima. Posso darti del tu, vero? Ma certo che posso!», cinguettò Deborah, accompagnandola verso la limousine. «Devo spiegarti quello che succederà stanotte», incominciò a dire, quando furono l’una accanto all’altra, sedute sui confortevoli sedili. «Ti prego di dedicarmi tutta la tua attenzione».
Greta annuì con convinzione ma non aprì bocca.
«Ci saranno molti fotografi e giornalisti all’entrata del ri storante. Tu e William dovrete tenere una copia in cartonato gigante dell’assegno da ventiduemila sterline che hai versato per questa cena di beneficenza. A proposito, congratulazioni per aver vinto l’asta».
«Grazie», fu tutto quello che riuscì a dire la ragazza, in un soffio.
«Dopo le foto, vi accomoderete al tavolo che vi è stato ri- servato. In realtà, l’intero ristorante sarà vostro: non ci sarà nessun altro eccetto voi nella sala, a parte tre camerieri che saranno a vostra completa disposizione. Ti avverto: non potrai sederti di fianco a William, ma sarai comunque di fronte a lui. Sei invitata a evitare contatti fisici. L’ultima volta che una fan ha tentato di abbracciarlo, la sicurezza è accorsa a portarla via di peso. Una scena pietosa!»
«Mi comporterò dignitosamente», promise Greta, più a se stessa che a Deborah.
«Avrai un’ora di tempo da trascorrere con lui. La cena prevede antipasto, primo, secondo e dolce».
Greta aveva un grosso nodo allo stomaco e dubitava che sarebbe riuscita a mangiare qualcosa.
«A cena terminata, farete qualche foto e una breve intervista davanti alle porte del ristorante; dopodiché, questa stessa limousine ti riporterà a casa. Tutto chiaro?»
La ragazza rispose di sì, ma presto cominciò a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore e a stringere forte le mani in grembo. Era tutto vero, dunque! Il suo sogno si stava per avverare: stava per incontrare William Stevenson!
Prese a ripassare mentalmente tutte quelle cose che si era ripromessa di dirgli ma l’ansia crebbe, invece di diminuire. Tentò allora di concentrarsi sul panorama che le sfrecciava davanti agli occhi: immagini di una città in movimento e senza sonno; eppure a nulla valsero i suoi sforzi per farsi passare quell’incessante tremito.
«Devi calmarti, mia cara», le sussurrò Deborah, notando la tensione del suo corpo. «So che per te lui è come un Dio in Terra...»
«Oh, sì! Lui non è un uomo qualunque. Lui è… tutto».
Prova a convincerti che sia una persona comune. Se lo tratterai nello stesso modo con cui tratteresti un qualsiasi tuo amico, vedrai che anche lui si sentirà a suo agio. Solo così riuscirete a trascorrere una serata piacevole».
Greta ringraziò per il consiglio, anche perché veniva da una donna che era abituata a trattare con personaggi del mondo dello spettacolo, ma quella di considerare William Stevenson un uomo come tanti era un’idea semplicemente inconcepibile per lei.
«Lo amo da quando avevo solo tredici anni, da quando ho sentito per la prima volta una sua canzone alla radio», provò a spiegare, ma la voce le si ruppe per l’emozione e non riuscì più ad andare avanti. Fece dei grossi respiri profondi e, quando la limousine si fermò, anche il suo cuore cessò per un attimo di battere.
Erano arrivate a destinazione. Qualcuno aprì lo sportello e la luce del flash di decine di macchine fotografiche costrinse Greta a socchiudere gli occhi. Attese che Deborah scendesse per prima, poi la seguì.
Ti amo, William!, urlava dentro di sé. Ti amo e spero che non ti arrabbierai con me quando scoprirai che io conosco il tuo segreto.
«Devo proprio farlo? Lo sai, vero, che non ne ho nessuna voglia?»
Gary Gills alzò gli occhi al cielo all’ennesima lagna di William, e si trattenne dall’impulso di rispondergli sgarbatamente. Prima di parlare, contò piano fino a dieci, una tecnica che lo aiutava a non perdere la pazienza:«Te l’ho già spiegato un sacco di volte. Hai bisogno di fare un po’ di beneficenza di tanto in tanto, se vuoi farti amare da tutti. In fin dei conti, si tratta solo di cenare in compagnia di una tua ammiratrice: non devi mica adottare degli orfanelli in Africa!» William sbuffò ancora, mentre si lisciava il bavero della giacca.
«Non posso fare semplicemente la rock star dannata e maledetta, senza dover fingere di voler salvare il mondo? Ci sono già tanti miei colleghi che lo fanno!» Si sbottonò il primo bottone della camicia e si sorrise allo specchio. «Incomincio a pensare che dovrei cambiare manager...»
Gary fece un verso di scherno davanti a quella provocazione: «Non saresti dove sei ora, senza tutto quello che io e i ragazzi abbiamo fatto per te, Will. Tienilo sempre a mente». Era la verità, considerò il cantante, rivolgendo al manager uno sguardo colmo di gratitudine. Riflettendoci bene, Gary Gills era forse l’unico amico che gli era rimasto, l’unico che era sempre stato al suo fianco in quella folle avventura che era diventata la sua vita da vent’anni a quella parte. Vent’anni di grandi successi, di album in vetta alle classifiche, di concerti in tutto il mondo. Vent’anni di fama universale.
Bussarono alla porta e Gary andò ad aprire. Tornò da William pochi secondi dopo: «Dobbiamo scendere, è tutto pronto».
Il cantante aveva la faccia di chi avrebbe voluto essere in qualsiasi posto tranne che lì, e mantenne quell’espressione annoiata fino a quando non arrivò all’entrata del ristorante. Giunto al cospetto di fotografi e giornalisti, si trasformò: da vanti a loro sapeva di dover essere disponibile e amabile, il beniamino della società. La macchina fotografica amava intrappolare i suoi sorrisi finti, il suo profilo perfetto e lo scintillio astuto dei suoi occhi. William Stevenson non faceva alcuna resistenza, si conce deva con generosità per quegli scatti, nella piena consapevolezza che il giorno dopo sarebbe apparso sulle copertine dei giornali e sui principali siti web del settore musicale. Come sempre, firmò dischi, strinse mani e si lasciò avvolgere dalla venerazione dei suoi ammiratori.
Il suo malumore scomparve del tutto quando vide Greta scendere dalla limousine. «É quella la persona che ha vinto l’asta?», domandò a Gary, senza nascondere il suo stupore.
«Già! Una bella ragazza. Se ti sento ancora una volta lamentarti del tuo lavoro, ti taglio la lingua», lo minacciò il manager, divertito.
«Non è una vecchia, ricca vedova... e nemmeno uno di quei ragazzini irritanti che cercano sempre di imitarmi. Sono sollevato che sia solo una giovane donna. Eccola che arriva».
Deborah di CharityVips si parò davanti a loro, tenendo Greta a braccetto: «Buonasera, William; buonasera, Gary». Era tutto uno zucchero. «Vi presento la signorina Greta Moore, la vincitrice dell’asta».
«Piacere di conoscerti, Greta!», fece il manager con entusiasmo.
La ragazza nemmeno se ne accorse: i suoi occhi erano fissi su William e non si staccarono da lui neppure per un secondo.
«Ok, ok... ho capito!», sbottò quindi Gary Gills, offeso, alzando le mani come in segno di resa. «Ti lascio al tuo William: è chiaro che esiste solo lui nel tuo cuore».
Deborah rise e continuò a tenere Greta per un braccio, convinta che da un momento all’altro sarebbe svenuta, considerato il pallore del suo volto.
«Trattate bene questa ragazza. Si merita una serata da ventiduemila sterline. Non so se mi spiego».
«Farò del mio meglio», promise William, sorridendo a Greta la quale sembrò riacquistare un po’ di colorito.
«Divertiti, cara», le bisbigliò Deborah, prima di baciarle una guancia. «Un uomo come tanti, ricorda...», aggiunse un attimo prima di lasciarla al fianco di William.
Greta aveva le guance in fiamme mentre realizzava che era accanto al suo idolo e che non era ancora riuscita a dirgli una sola parola. Si chiese se, almeno durante la cena, sarebbe stata in grado di fare una conversazione decente o se era destinata a sprecare quel poco tempo insieme a lui in un silenzio totale e imbarazzante. Di positivo c’era che non aveva ancora avuto nessuna reazione isterica: non si era gettata ai suoi piedi, baciando la terra che calpestava, e non si era nemmeno messa a frignare per l’emozione come una bambina.
«Bene. Facciamo qualche foto». Il manager del cantante richiamò degli uomini in lontananza. Quelli arrivarono poco dopo con una replica ingigantita dell’assegno da ventiduemila sterline, esattamente come Deborah aveva anticipato a Greta.
William prese il cartonato da un lato, mentre la ragazza lo teneva dall’altro e lasciarono che i fotografi facessero il loro lavoro.
«Non so tu, ma io sono affamato», le disse William, quando finalmente poterono entrare nel ristorante, un locale dallo stile classico ed elegante, a tratti romantico per via dei numerosi addobbi floreali, dei candelabri e delle bordature dorate dei mobili.
Devo parlargli! Devo parlargli!, s’impose Greta e, mentre un cameriere le scostava una sedia per farla accomodare, riuscì a tirare fuori un po’ di voce:
«Sono felice di essere qui». Anche se aveva solo sussurrato, le parve di aver quasi strillato quelle parole, poiché riecheggiarono nel salone deserto.
«Anche io sono contento. Devo confessarti che, all’inizio, non ero molto convinto di questa... cosa ma, adesso che siamo qui, ho davvero voglia di conoscerti meglio». William, al contrario di lei, sembrava essere molto rilassato e disinvolto.
«Tanto per cominciare, che lavoro fai? Per permetterti una cena così costosa, probabilmente sei un pezzo grosso».
Greta strinse le spalle. Avrebbe voluto nascondersi dietro il menù che teneva tra le mani, ma cercò di rispondere con la massima calma e sincerità:
«Sono solo una semplice impiegata. Faccio la web designer per una testata giornalistica virtuale. Davvero un lavoro poco interessante».
Due camerieri arrivarono per consegnare alcuni piccoli antipasti, mentre William chiedeva, sempre più incuriosito: «Ma, quindi, dove hai trovato tutti quei soldi? Sei ricca di famiglia o hai dovuto rapinare una banca?»
«Sono riuscita a mettere da parte un piccolo gruzzolo in questi anni di duro lavoro. In realtà, avrei dovuto usarlo per acquistare un’automobile ma...»
«Ma hai preferito spenderlo per me, alla fine. Ne sono lusingato».
Scommetto che sta pensando che sono patetica. Un’altra stupida,patetica fan!, si demoralizzò Greta.
«E dimmi...», continuò William. «Che hanno detto i tuoi amici, riguardo questa cena?»
«Oh, non lo sa nessuno!»
Un cameriere le riempì il bicchiere di vino, gesto del quale lei fu estremamente grata perché aveva davvero bisogno di bagnarsi la gola. Bevve un sorso, prima di andare avanti: «Mi avrebbero giudicato, mi avrebbero accusato di essere una donna adulta che non vuole crescere. Che non c’è nulla di più sciocco al mondo che perdere tempo dietro alle celebrità alle quali non importa nulla delle persone ordinarie come me».
Terminò tutto il contenuto del suo bicchiere e lasciò che quel dolce liquido le riscaldasse le vene. «Avrebbero provato pena per me. E non si sarebbero sforzati nemmeno per un attimo di capirmi. Nessuno di loro ha idea di quello che provo per te».
William abbassò lo sguardo sul piatto di antipasti, come se non potesse più reggere la dichiarazione d’amore di quella ragazza. Quanta gente gli aveva già detto frasi come quelle!
Non puoi capire quanto ti amo, le tue canzoni mi hanno cambiato la vita, non c’è nessuno bello come te, non vorrò mai nessuno quanto voglio te... uno strazio.
«Comunque non importa, sai?», disse d’un tratto Greta. «Non m’importa di essere capita. So di essere un po’... fuori di testa, ma è questa pazzia a farmi sentire viva. E conserverò sempre nel cuore il ricordo di questa serata memorabile. Non ho nessuna necessità di condividere questa mia felicità con qualcuno: sarà soltanto mia».
«Questo è l’atteggiamento giusto. Brava!», si complimentò William, prima di addentare uno dei deliziosi bocconcini di tofu al sesamo. «Mmmh, devi assaggiare questi! Sono buonissimi».
«Non ho molta fame...», borbottò lei, spostando il proprio piatto di lato.
«Oh, non scherzare! Hai pagato profumatamente questa cena e non hai intenzione di mangiare?» Si sporse verso di lei con la forchetta ferma a mezz’aria. «Dai, provali».
Lei dapprima non si mosse. Solo quando capì che lui voleva imboccarla, si sollevò di scatto, come se qualcosa le avesse punto il fondoschiena e si fece avanti, meravigliata ed eccitata per quel gesto tanto intimo.
William fece un ghigno storto mentre la guardava arrossire e masticare piano. Era inutile provare a negare a se stesso che avere quell’effetto sulle donne non gli facesse piacere. Gli piaceva, eccome!
«Finora ti ho chiesto solo io di te. Perché non mi fai tu qualche domanda?» «Posso?», chiese lei, titubante, mentre si faceva riempire ancora una volta il bicchiere. Il vino rosso stava riuscendo a scioglierla un po’ e aveva l’impressione che il suo corpo fosse diventato più leggero. «Volevo sapere se hai intenzione di avere dei figli, prima o poi».
Lui si inumidì le labbra, prendendo tempo. Chiaramente non si aspettava una domanda così personale.
«Beh...», incominciò, accarezzando distrattamente un tovagliolo. «Devo ammetterlo: detesto i bambini. L’idea di circondarmi di piccoli mostriciattoli bavosi e piagnucolosi mi terrorizza non poco. Però immagino che dovrà succedere, giusto? Ormai sono quasi anziano e… o adesso o mai più».
«Io penso che saresti un ottimo padre».
Lui scosse il capo lentamente: «Ne dubito». Ci fu un minuto di silenzio, William pareva assorto. «Quale tra le mie canzoni è la tua preferita?», le domandò quindi, ansioso di cambiare argomento. «Mi piacciono tutte le tue canzoni, è impossibile sceglierne una».
«Questa è una risposta scontata. Sforzati un pochino. Ce ne sarà una che preferisci!»
«In realtà... sono tutte così oscure! Quei testi un po’ macabri, uniti alla tua voce ruvida mi mettono sempre i brividi», svelò lei, abbassando lo sguardo.
«La gente ama il mistero, l’ambiguità, il turbamento. Credo sia questo il principale motivo del mio successo».
«Scrivi dei testi davvero enigmatici. Posso chiederti come nascono le tue canzoni?»
Ancora una volta William si prese un po’ di tempo per ri- spondere, mentre i camerieri servivano un primo composto da risotto allo zafferano e funghi.
«Ecco, vedi... di solito funziona così: io scrivo un testo, i ragazzi della mia band scrivono delle musiche, poi ci chiudiamo insieme in studio e cerchiamo di incastrare il tutto e registrare un buon brano. Il che non è sempre semplice».
Greta tacque, rimuginando sul contenuto della propria borsetta, e cercò di mangiare un cucchiaio di risotto, ma dovette bere altro vino per mandarlo giù.
«C’è un’altra cosa che ho sempre voluto chiederti e… credo che, se non lo farò adesso, dopo non ne avrò più il coraggio».
Lo vide alzare un sopracciglio:«La fai sembrare una domanda terribile! Chiedimi pure tutto quello che vuoi. Magari non risponderò, ma tu prova. Non
ti mangerò viva, se è questo che temi».
Solo dopo qualche lungo sospiro Greta si decise ad aprire la borsetta e a tirare fuori un blocchetto di fogli pieni di appunti,note su post-it e diversi ritagli di articoli di giornale.
«Ti sei mai accorto che molte delle tue canzoni parlano di... incidenti, omicidi e decessi realmente avvenuti?»
Lui diventò di colpo serissimo e la trafisse con gli occhi che sfumarono in un colore più intenso: «Non so di cosa stai parlando».
«Posso farti vedere. Io ho analizzato a fondo tutti i tuoi testi e ho trovato moltissime corrispondenze». Gli allungò i fogli sul tavolo ma lui non li degnò della mi-nima attenzione.
«Sei una ragazza simpatica ma stai diventando anche leggermente assurda, lo sai?»
Era chiaro che la faccenda non lo divertiva affatto e, se Greta non avesse bevuto così tanto vino, probabilmente non sarebbe stata tanto stolta da insistere:
«Ti prego, dai solo un’occhiata. È una cosa parecchio curiosa. Ad esempio...» Prese il primo foglio e glielo porse. Suo malgrado, lui fu costretto a prenderlo. «La tua canzone Lucky Woman parla chiaramente di Teresa Spinner, quella donna che è morta di infarto dopo una grossa vincita alla lotteria. Tu canti: un’amica mi ha sorretto mentre la fortuna mi piombava addosso. Il cuore non ha retto. Oh, cara e affollata Dean Street...»
«Conosco i testi delle mie canzoni, grazie», la bloccò lui, seccato.
«È esattamente a Dean Street che la donna ha acquistato il fortunato biglietto della lotteria, ed è lì che poi è morta, tra le braccia di una sua amica. Nella canzone descrivi esattamente la scena». Lui sbuffò: «Sì. Sì, può darsi. Forse ho letto la notizia in un giornale e ne ho fatto una canzone».
«Impossibile: il singolo è uscito in vendita circa una settimana prima dell’accaduto», replicò Greta, col fervore di chi ha fatto una scoperta sensazionale. «E questo è solo un esempio. Ci sono molte altre canzoni che...» «Sono soltanto di coincidenze», si difese lui, sempre più accigliato.
«Non esistono le coincidenze»,
«Non esistono le coinc... Ah! Che sciocchezza!» William ora era davvero fuori di sé. «Il mondo della musica è pieno di coincidenze, ma forse tu sei troppo giovane per saperlo. Sì, la musica è piena di... di frasi messe lì a caso, senza alcun significato, e di persone che invece si ostinano a leggerci chissà quali grandi rivelazioni!» Il volume della sua voce era spaventosamente aumentato e Greta ne fu intimorita. «Ognuno interpreta le canzoni come meglio crede. Conosci la teoria secondo cui Morrissey avrebbe previsto, in The Queen is Dead, la morte di Lady Diana? E tutta la leggenda sulla morte e sulla sostituzione di Paul McCartney, e sui vari indizi nascosti nelle canzoni dei Beatles? Una marea di stronzate!» Quasi sputò quella frase. «Sei una di quelle che prova ad ascoltare i dischi dei Led Zeppelin al contrario nel tentativo di trovare inni a Satana?»
«Ma... no, no. Se tu leggessi i miei appunti...»
«Non mi interessa. Il mio risotto si sta raffreddando».
Greta smise di combattere. Riprese i suoi fogli e li piegò attentamente, rimettendoli dentro la borsetta. Le veniva da piangere al pensiero di aver fatto infuriare William Stevenson, soprattutto perché le sue intenzioni erano quelle di stupirlo, di svelargli qualcosa che probabilmente lui non conosceva di se stesso. E invece aveva fallito miseramente. Non fiatò e non mosse nemmeno un muscolo mentre lo guardava mangiare. Lui era rigido come un automa, mentre portava alla bocca una cucchiaiata di risotto dietro l’altra, con gesti rapidi e meccanici. Era chiaro che non aveva più appetito, che mangiava solo per non dover parlare, e che non vedeva l’ora di finirla con tutta quella storia della cena di beneficenza.
Con gli occhi che cominciavano a riempirsi di lacrime, Greta fece un ultimo, disperato tentativo per salvare il suo appuntamento da ventiduemila sterline: «Mi dispiace, non volevo darti noia. Volevo soltanto spiegarti quanto per me tu sia speciale e...»
«È proprio qui che ti sbagli: io non sono speciale. Sono un uomo come tanti altri, che commette errori. Non sono un santo, non ho poteri magici e non provengo da pianeti alieni».
William si passò il tovagliolo sulle labbra, poi lo appallottolò e si alzò.
«Dove stai andando?», gemette Greta, allarmata. Anche lei avrebbe voluto sollevarsi dalla sedia e magari implorarlo in ginocchio di restare, ma era completamente paralizzata. «Non puoi andare via».
«Posso, invece». William si voltò e si diresse senza esitazioni verso un addetto della sicurezza, il quale era rimasto per tutto quel tempo ritto davanti a una delle porte del ristorante. Parlottarono per pochi istanti e poi il cantante scomparve dalla visuale di Greta.
"UN UOMO COME TANTI" DI FRANCESCA GARAU - EDIZIONI 96 RUE DE-LA-FONTAINE
E' possibile richiedere direttamente una copia del libro autografata, scrivendo un’email a: unuomocome@gmail.com
Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.