Ciao a tutti. Ecco ancora una pagina di diario dagli anni passati a Dahab (nove in tutto). Qui ricordo i bei tempi, prima che il terrorismo mediatico prosciugasse l'Egitto dei suoi turisti.
Ancora la grande nave-pub-e-discoteca ci accoglie tutti generosamente dentro le sue spire di vento e di musica. Rapper egiziani nell'imitazione dell'America si dimenano in spezzoni di break-dance accanto a beduini che ballano con un turbante in testa, la galabia e una birra in mano, vicino a giovani surfisti nordici. Egiziani con il giubbotto perché per loro con venti gradi c'è freddo, rasta, teenager dalla carnagione bianca che ballano con egizi dalla pelle olivastra, mosse di danza del ventre che s'innestano su rap e R&B e su coreografie sudamericane. Dive-masters dall'aria vissuta e teutonica accanto a ragazzine coreane, e poi ancora inglesi, viaggiatori dai Balcani, gente del Cairo in vacanza...
La musica spazza via tutte le differenze con un’immediatezza tale che potrebbe far sentire stupidi. La gente si diverte tutta nello stesso modo e il sorriso stampato sul viso ci rende tutti consanguinei nell'onnipotenza del ballo e dell'arte.
Una bimba beduina passa con un piede scalzo e l'altro infilato dentro un pattino, lasciandosi dietro lo svolazzo di un velo rosa, come un piccolo fantasma evanescente nella notte di stelle.
Il mare balla con noi, quando c'è vento. A guardarli danzare così insieme sembrano tutti amici. Perché allora tutta quella sceneggiata alla televisione, le guerre, le bombe, le bugie e tutti i lutti inutili? Penso che sia perché le persone a volte si dimenticano di ballare.